Storia di un giovane calciatore spagnolo che sogna di diventare grande nella sua squadra del cuore.
Ad Alfonso Torres Muñóz da bambino piaceva giocare a pallone. Come la maggior parte dei bambini in Spagna e in quasi tutto il mondo. E come la maggior parte dei bambini, Alfonso sognava di diventar calciatore. C’è stata una generazione, a cavallo tra gli Anni Ottanta ed i Novanta, che ha accompagnato le corse sui campetti sterrati con l’appuntamento quotidiano con l’anime “Holly & Benji”, la storia di due bambini giapponesi che sognano di diventar calciatori e che finalmente compiono il loro sogno. Alfonso era un appassionato di questo cartone animato e fu per questo che, quando nel 1994 i suoi genitori Tomás e Gloria gli annunciarono che a breve avrebbe avuto un fratellino, lui pretese che lo si chiamasse Óliver, come il protagonista della serie che tanto gli piaceva.
A volte è proprio il destino. O forse solo casualità. In fin dei conti, in Italia quanti bambini son stati battezzati “Diego” a partire dalla seconda metà degli Anni Ottanta? E nessuno è diventato Maradona. Così come il figlio di Cassano non diventerà Messi solo perché lo han chiamato “Lionel”. Sta di fatto che Óliver Torres sembra un predestinato, un campione nato, con la faccia pulita, di buone maniere, umile ma sicuro dei suoi mezzi, misurato ed equilibrato nel parlare, ma soprattutto dotato di una tecnica sopraffina e di una eleganza incantevole.
Nacque nel paesino di Navalmoral de la Mata (17000 anime), in provincia di Cáceres, il 10 Novembre di vent’anni fa. Il papà voleva chiamarlo Hugo… La scelta imposta dal fratello maggiore si rivelò azzeccata fin dai primi tornei disputati con il San Andrés e con la Escuela Morala de Fútbol, squadre della sua terra natale, con cui giunse due anni di fila alle finali della Liga Nacional del Campeonato Marca, risultando sempre il miglior giocatore del torneo.
Nel 2006 viaggiò a Barcellona per giocare nella Fundación Marcet. Restò un anno e mezzo, poi tornò a casa: saudade alla spagnola, di un bambino per cui la città era troppo grande e la voglia di essere un calciatore non sufficiente in comparazione con la necessità di star con la famiglia. Compiuti i 13 anni, però, entrò nella cantera dell’Atlético Madrid, questa volta per restare. Da lí in avanti, una carriera meteorica, scalando una categoria giovanile dopo l’altra, sia con i “colchoneros” che con la nazionale spagnola, di cui fu il regista dell’Under-16, dell’Under-18 (vincendo la Coppa dell’Atlantico), dell’Under-19 (vincendo l’Europeo 2012), Under-20 (partecipando senza fortuna ai Mondiali della scorsa estate) ed ora dell’Under-21.
A Diego Pablo Simeone sta toccando l’onere e l’onore di gestirne i primi passi nel grande calcio. Resiste, il “Cholo”, alle pressioni dell’ambiente che vorrebbero Óliver già protagonista dell’Atlético Madrid. Lui chiede calma, necessaria ad abbassare pretese e pressioni, ad insegnare al ragazzo cosa vuol dire giocare tra i grandi, dove il bambino gracile che conobbe due anni fa veniva “spostato” con facilità dai difensori, mentre oggi, con la naturale crescita fisica dovuta all’età (è alto 1 metro e 78) e con un lavoro di rafforzamento muscolare mirato, Oli è un calciatore vero, dotato di gambe forti, testa rapida e spalle resistenti, nonostante lo scorso fine settimana una leggera spinta di un difensore del Rayo Vallecano gli abbia fatto slogare proprio una spalla…
Óliver è il nono giocatore più giovane ad aver debuttato con la maglietta dell’Atlético Madrid. Simeone lo aveva già portato in panchina nelle ultime giornate della Liga 2011-12, ma il debutto arrivò il 19 Agosto successivo in occasione della 1ª giornata del nuovo campionato: 27 minuti al posto di Adrián López al “Ciutat de Valencia”, casa del Levante, giusto per rompere il ghiaccio. Aveva 17 anni e 283 giorni.
L’Atletico gli fece firmare un contratto di cinque anni con clausola da 24 milioni di Euro (vendendone il 20% ad un fondo di inversione gestito da Jorge Mendes) appena il ragazzo compì la maggiore età. Óliver non dubitò ad accettare perchè vuole diventar grande con l’Atlético Madrid, squadra di cui la sua famiglia è da sempre tifosa. Al suo primo anno tra i pro, raccolse otto spezzoni di gara in Liga e due in Copa del Rey. Quella Copa del Rey vinta lo scorso Maggio al “Santiago Bernabéu” contro il Real Madrid è il primo alloro in una bacheca che si prevede sarà presto rimpinguata.
Questa stagione è parte integrante della prima squadra. Lo scorso 27 Ottobre giocò la sua prima gara da titolare ed impiegò nient’altro che 15 secondi per fare il suo primo gol in Liga. Per i posteri: l’avversario fu il Betis Seviglia. Per ora, la sua stagione 2013-14 lo ha visto in campo 7 volte in Liga, 1 in Copa del Rey, 1 in Supercopa de España e 4 in Champions League. Più 6 con l’Under-21, di cui è titolare nella new-generation dei Jesé, Doulofeu, Morata, Carvajal, Ñiguez e con cui lo scorso 14 Novembre realizzò anche una doppietta alla Bosnia Erzegovina.
Al di là di numeri, date, statistiche, Óliver Torres è semplicemente uno dei più brillanti prospetti del panorama calcistico mondiale. Ama collocarsi sulla trequarti campo, da nº 10 vero, scende spesso a ricevere per iniziar l’azione, gli piace toccar la palla, scambiarla coi compagni, non si nasconde mai, assume il ruolo di play-maker con naturalità. Quando riceve, lo fa sempre a testa alta, con gli occhi che si muovono costantemente per scrutare la posizione dei compagni e scegliere l’opzione di passaggio migliore. Il dribbling, poi, è rapido, secco, frizzante. La conclusione a rete sempre leggera e delicata. Il suo idolo giovanile è stato Ronaldinho e si nota nell’atteggiamento, sempre allegro e spensierato.
A differenza del “Gaucho”, però, ha già dato ampia dimostrazione di estrema maturità, cosciente di essere un privilegiato (suole dire che il suo primo obbiettivo è stato far smettere sua madre di lavorare come domestica), che le luci del calcio sono ingannevoli (non è mai appariscente o eclatante negli atteggiamenti, mai si è saputo di sua notti brave) e che la vita non è solo pallone (vuole continuare a studiare, convinto che sia una scusa considerare calcio professionistico e studio come incompatibili). Intanto, appena avrà recuperato dall’infortunio alla spalla, continuerà il suo processo di crescita. Come per Oliver Hutton, il futuro è suo: le magliette nº 10 dell’Atlético Madrid e della Spagna lo aspettano.
Mario Cipriano