Andrade, l’uomo, o meglio il calciatore, più lento del mondo! Alla Roma arrivò come nuovo Falcao, ma i due in comune avevano solo il passaporto brasiliano!

Andrade

Andrade(foto asrtalenti.org)

La storia delle differenze fra il calcio europeo e quello sudamericano la conosciamo un po’ tutti, anzi talvolta si presta a interpretazioni soggettive poco veritiere. Il ritornello è sempre lo stesso; in Argentina, in Brasile o nei dintorni viene curata maggiormente la parte tecnica e il tocco di palla, in Europa c’è invece più velocità, aggressività e prestanza fisica. Le eccezioni fanno parte della storia del calcio, ma tutto sommato 20-30 anni fa il pensiero comune era questo: se si vuole prendere un calciatore di qualità, bisogna acquistarlo in Sudamerica… E qualche volta ci si pentiva della scelta, col presunto fuoriclasse che non si ambientava nel calcio italiano. Il Motivo? Al primo posto assoluto la rinomata saudade, la nostalgia del paese natio che nel nostro campionato ha fatto più vittime di un terremoto. Per il brasiliano Jorge Luis Andrade da Silva (21 aprile 1957) l’aspetto malinconico fu però secondario; il suo flop alla Roma aveva radici molto più semplici. La lentezza

 

Andrade arrivò nel nostro campionato nel 1988/89, con in dote un’ottima militanza nel Flamengo. Aveva debuttato col club di Rio de Janeiro poco più che ventenne e aveva vinto un po’ di tutto: svariati titoli carioca e nazionali, persino una Libertadores e una Coppa Intercontinentale nel 1981. Spesso l’inganno, per presidenti e dirigenti delle squadre europee, si cela proprio nel dare troppa importanza al curriculum del suddetto campione. Dino Viola e company di certo pensarono che Andrade, che in quel Flamengo non era stato una comparsa (160 presenze e 8 gol), aveva le giuste credenziali per affermarsi nel club capitolino. Era il classico mediano vecchio stampo, con un’ottima visione di gioco, squisito senso tattico e dotato di un poderoso tiro dalla distanza. L’ideale per sostituire il mito di Paulo Roberto Falcao, che era andato via nel 1985, nel centrocampo e nel cuore dei tifosi giallorossi.

Ma già dopo un paio di esibizioni in campo, questo ragazzo di colore (era infatti nero come un carbone; qualcuno lo paragonò ad Arnold, il piccolo protagonista della famosa situation comedy americana) nativo di Juiz de Fora balzò agli onori della cronaca sportiva soltanto per la sua apatia. Per Andrade persino i dizionari andarono in difficoltà: non esistevano infatti vocaboli sufficienti per esprimere la sua lentezza… Si piazzava a centrocampo, che in effetti era la sua zona di competenza, ma il guaio è che poi non si muoveva di un centimetro. Pigro, fiacco, svogliato, indolente, poltrone e abulico; mettete tutto insieme e otterrete Andrade! Era immobile; in pratica giocava da fermo…


Non si capiva neanche bene se era lento per costituzione fisica o per scelta personale; infatti qualche inferocito tifoso della Roma sospettò che quasi lo facesse apposta. L’allenatore era il grande Nils Liedholm che, da uomo e tecnico di immenso valore, cercò di rimediare affiancandogli qualche altro mediano o provando nuovi schemi per ottimizzare le sue prestazioni. Ma l’impresa era davvero proibitiva, anche perché era lo stesso Andrade a non intuire la sua situazione di disagio: “Voi italiani non capite! Io non sono lento; semplicemente preferisco far correre veloce il pallone piuttosto che le mie gambe…”

Non sapremo mai la verità; magari qualche ragione Andrade poteva pure averla, ma il dato certo è che il campionato italiano lo schiacciò come una nocciolina. Nella stagione 1988/89, che per lui fu pure l’ultima, il brasiliano lento collezionò soltanto 9 presenze senza reti e senza mai un acuto positivo. Anzi, fece arrabbiare un po’ tutti: sia molti dei suoi compagni (“Non si può andare avanti così: ci tocca correre anche per lui” ) sia i tifosi, che lo ribattezzarono Moviola per i motivi che ormai già conosciamo bene.

Alzò bandiera bianca anche il buon Nils Liedholm, durante una partita valida per gli ottavi di finale di Coppa Uefa a Dresda, col campo quasi impraticabile causa la neve e il ghiaccio. Andrade era inizialmente in panchina. Il mister gli diede comunque la possibilità di riscattarsi e lo mise in campo nella ripresa, al posto di Bruno Conti. Fu una comica; il povero carioca si trovò ancora più a disagio e in difficoltà su quel campo, al punto da scivolare e rotolare su se stesso svariate volte… Per la cronaca, i tedeschi si qualificarono ai quarti con un doppio 2-0.

Per la Roma la stagione, che doveva vederla come assoluta protagonista, fu un lungo e triste elenco di delusioni. Fuori prematuramente dalla Coppa Italia, in campionato soltanto un amarissimo settimo posto in condominio con la Fiorentina; fu necessario uno spareggio fra le due squadre per l’ammissione alla coppa Uefa dell’anno seguente. Vinsero i viola 1-0 con un altro smacco: il gol decisivo del grande ex Roberto Pruzzo. Andrade in quella gara non c’era e stava già facendo le valige per tornare in Brasile; la Roma aveva ormai perso la pazienza… Cercarono di sbolognarlo al primo offerente, e si fece avanti un altro storico club di Rio: il Vasco da Gama.


Andrade continuò quasi fino a 40 anni la sua carriera in Sudamerica, in squadre più o meno conosciute come l’Atletico Paranaense, il Desportiva e il Barreira. Negli ultimi tempi era anche divenuto allenatore-giocatore, e qualche buontempone ironizzava sul fatto che a volte giocava talmente male che si sostituiva da solo per il bene della squadra… L’epopea di Andrade nel campionato italiano è comunque, suo malgrado, ancora oggi ricordata e il suo nome è addirittura un esempio, ovviamente negativo… In qualche scuola calcio capita di sentire un allenatore borbottare ai ragazzini frasi come: “Siete lenti come tartarughe… Anzi, come Andrade!”

C’era una bellissima massima del grande Ernesto Guevara: “Bisogna essere duri senza perdere la tenerezza” che potremmo interpretare in tanti modi, come ad esempio: “Bisogna essere veloci senza perdere la lentezza”. Peccato che Andrade nella sua vita ha rappresentato soltanto l’ultimo concetto: la lentezza!

Lucio Iaccarino

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