Marcio Santos a Firenze voleva imporsi non solo come difensore, ma anche come seduttore di Sharon Stone. Gli andò male in entrambi i casi.
Secondo alcuni filosofi, sperare in qualcosa con tutto il cuore è ancora più appagante del compimento stesso di ciò che si desidera. Un pensiero molto profondo, su questo non abbiamo dubbi, ma effimero e puramente poetico. Probabilmente la maggior parte delle persone potranno ad esempio pensare: ma come? Sperare di vincere 50 milioni di euro al superenalotto è meglio che vincerli e incassarli sul serio? See, credici… Questioni di filosofia, appunto. Il centrale difensivo brasiliano Marcio Santos non aveva nulla di filosofeggiante e, soprattutto per questo, quando arrivò in Italia pensò solo ai beni materiali: un poderoso ingaggio (del resto, come vedremo, era neo campione del mondo e poteva pretenderlo) e tante clausole con benefici istrionici e pittoreschi. La sua storia è tutta da gustare, anche perché non manca nulla: fortuna e sfiga, polvere e gloria, trionfi e rovinose cadute. E c’è anche una bellissima donna, tanto desiderata ma mai protagonista dell’epopea italiana del nostro eroe. Le donne sono per la vita di un uomo come il sale per la minestra: danno il sapore necessario! Il nostro amico ci andò vicino, ma…
Marcio Roberto dos Santos nacque a San Paolo il 15 settembre 1969 e, avendo un fisico possente e statuario (quasi 190 centimetri), optò fin da ragazzino nel ruolo di difensore centrale; insomma, era il classico pennellone che incarnava l’ideale dello stopper. E sia nell’International che nel Botafogo, le sue prime squadre di rilievo in patria, si disimpegnò discretamente in quel delicato ruolo meritandosi l’approdo in Europa coi francesi del Bordeaux. Di certo soffriva gli attaccanti rapidi e guizzanti, ma sopperiva l’innata lentezza con un buon tempismo e sciorinando il suo pezzo pregiato: il colpo di testa. Già, negli interventi aerei era davvero formidabile e raramente sbagliava un colpo. Nei primi anni novanta entrò persino nel giro della Seleçao, anche se i suoi piedi ruvidi erano poco graditi da stampa e tifosi brasiliani. Qui si materializzò il suo primo colpo di fortuna; nel 1994, nell’immediata vigilia dei campionati del mondo americani, il duplice infortunio dei difensori Ricardo Rocha e Gomes proiettò Marcio Santos fra i titolari del Brasile.
Giocò sette partite su sette, segnò un gol nel girone contro il Camerun e si laureò campione del mondo guidando una difesa che subì soltanto tre reti in tutta la manifestazione. E poco male se fu l’unico dei carioca a sbagliare il calcio di rigore nella finalissima con l’Italia: gli errori di Baresi, Massaro e Roberto Baggio furono molto più determinanti e la Coppa del mondo tornò a Rio dopo 24 anni di assenza.
Dopo il trionfo iridato, approdò nel nostro campionato trovando un ottimo ingaggio nell’ambiziosa Fiorentina, che nella stagione 1994/95 era allenata da Claudio Ranieri. Marcio Santos impressionò tutti, ma sfortunatamente per i viola non in campo. Se il rendimento (e non poteva essere altrimenti, visto che si parla di una meteora) fu insufficiente, la sua avventura extra-calcio colpì decisamente l’immaginario popolare. Fece storia, anzi quasi leggenda, la clausola che Marcio Santos fece inserire nel contratto con la Fiorentina.“Se in tutto il campionato segno almeno 7 gol, voglio un premio: uscire a cena con l’attrice Sharon Stone”! Tutto vero, nulla di inventato. Del resto, il presidente dei viola era il noto produttore cinematografico Vittorio Cecchi Gori che, essendo dell’ambiente, poteva questo e altro. Da buon toscanaccio, accettò la sfida e, per il bene della sua squadra, in cuor suo sperava che il brasiliano riuscisse a fare questi benedetti 7 gol. Per Marcio Santos, e come dargli torto, la biondissima e bellissima Sharon Stone era il massimo: ovviamente non solo come attrice…
Quasi ci si dimenticava che era un difensore, e il suo mestiere era quello di evitare i gol e non di farli. Il contesto fu comunque negativo, sotto tutti i punti di vista. Marcio Santos galleggiò nella mediocrità, e la Fiorentina registrò un campionato anonimo: decimo posto e, dato tanto allarmante quanto significativo, la terza peggiore difesa di tutta la serie A. Insomma, il brasiliano non convinse affatto come difensore e, tanto per rigirare il coltello nella piaga, perse anche la storica scommessa col presidente. Realizzò, infatti, soltanto 2 gol in 32 presenze; troppo distante per l’incontro con la splendida protagonista di Basic Instinct. Anzi, siccome realizzò due goffe autoreti (col Bari e col Torino) a Firenze cominciarono a prenderlo scherzosamente in giro: “Altro che con la Stone, fatelo uscire con la moglie di Fantozzi”!
Dopo l’insoddisfacente capitolo italiano, Marcio Santos riuscì comunque a salvaguardare una discreta carriera cambiando molte squadre e paesi: fu acquistato dagli olandesi dell’Ajax (anche se spesso in panchina, vinse pure un campionato e una coppa nazionale) per poi tornare in Brasile militando nell’Atletico Mineiro, nel San Paolo e nel Santos. Decisamente curiose e inusuali, poi, le sue escursioni nel campionato cinese (Jinan e Loneng Taichan) e in quello boliviano col Bolivar; a fine carriera, tutto fa brodo e a qualche soldino non si dice mai di no…
Marcio Santos chiuse la carriera agonistica a 37 anni, e tirando le somme tutto sommato il bicchiere della sua parabola calcistica è mezzo pieno; pur non essendo un fenomeno, è riuscito a vincere un mondiale col Brasile (42 presenze in totale) e giocare per anni in Europa; insomma, ha ottimizzato egregiamente le sue non eccelse qualità. Ma se ripensa al flop italiano, gli ritornano in mente soprattutto gli occhi, il viso, il corpo e le gambe della portentosa Sharon Stone. Un sospiro e il rimpianto che prende il sopravvento…
Lucio Iaccarino