Hugo Maradona: l’incredibile storia del fratello di Diego, che ad Ascoli provò ad imitare il numero 10 del Napoli ma col pallone risultò proprio un disastro!
Quando su questa terra qualcuno comincia a parlare di Diego Armando Maradona state pur certi che la discussione andrà avanti scatenando opinioni e giudizi più o meno concitati. C’è chi afferma che è lui il miglior calciatore di tutti i tempi, chi invece preferisce Di Stefano, Pelé o l’attualissimo Messi; e avranno di certo voce in capitolo anche i detrattori dell’argentino sul piano umano. I problemi di droga, di peso, di scarsa disciplina, i guai col fisco, l’amore per le donnine allegre e le risse in discoteca. Il genio, la classe e la sregolatezza: mettiamo tutto nel frullatore ed esce fuori Diego Maradona. In pochi, però, sanno che l’ex napoletano potrebbe entrare di diritto nella categoria dei più grandi bugiardi della storia dell’umanità! Esageriamo? Forse no; tanti anni fa sparò una delle più grandi frottole di sempre. Eccola: “Mio fratello Hugo è molto più forte di me!” Una sola considerazione al riguardo, che è anche un’attenuante per Diego: dire una bugia per amore (in questo caso fraterno) non è mai peccato, anzi…
Hugo Hernan Maradona nacque a Lanus il 9 maggio del 1969, circa 9 anni dopo l’illustre fratello. E in teoria, secondo una legge di natura, si pensava che avesse lo stesso talento di Diego. Ma la teoria e la pratica nel calcio spesso non seguono lo stesso binario. Le illuminazioni e il talento di Diego raggiunsero il punto massimo fra il 1986 e il 1987, quando con Argentina e Napoli vinse rispettivamente la Coppa del mondo e il campionato italiano. Due trionfi, e su questo nessuno deve avere dubbi, che hanno il dolce profumo dell’impresa sportiva, anche perché nascono in contesti socialmente inferiori. E fu proprio in quel periodo che Hugo il furbetto, aiutato da familiari e amici, cercò di cavalcare quell’onda di successo e celebrità che le magie di Diego avevano creato. Bastava dire Maradona e si aprivano porte e portoni: figurarsi un fratello, e per giunta calciatore! Fu così che nella stagione 1987/88 l’istrionico presidente dell’Ascoli Costantino Rozzi (famoso per i suoi calzettoni rossi, usati per scaramanzia) cadde nell’imboscata del cognome più famoso nel calcio mondiale…
Fino ad allora Hugo Maradona aveva bivaccato nell’Argentinos J. ma era una mezzapunta insipida e con scarsa fantasia; ogni tanto provava qualche numero del fratello, ma i risultati erano un disastro e lui era il primo a rendersene conto. Ad Ascoli fu però presentato in pompa magna, anche per avere un minimo di ritorno mediatico: ma erano altri tempi (ad essere più precisi erano bei tempi) e la favola del “fratello fenomeno” durò pochissimo. I marchigiani, allenati da Ilario Castagner, erano una squadra tutto sommato dignitosa con uomini e mestieranti del calibro di Carannante, Celestini, Scarafoni e col centravanti brasiliano Walter Casagrande. Ed è giusto menzionare anche il compianto Andrea Pazzagli, portiere di ottimo livello. L’obiettivo della salvezza in serie A fu centrato, anche se soltanto di un punto e con non pochi sussulti (per la cronaca, furono Avellino ed Empoli ad andare in B). Hugo Maradona, però, fu poco più di una comparsa: doveva essere il perno del centrocampo, l’uomo di fantasia in grado di accendere i compagni d’attacco. Insomma un piccolo Diego…
Le 13 presenze alla fine di quella stagione furono eloquenti per tracciare il bilancio della sua esperienza italiana: un flop monumentale! Per Hugo Maradona soprattutto panchine e tribune, accompagnate anche da atteggiamenti poco professionali nei ritiri e negli allenamenti. A voler essere cattivi, furono proprio le fughe in discoteca e qualche drink di troppo l’unico vero punto di coesione (a parte la somiglianza fisica) col fratellone. Dopo l’Ascoli e l’Italia, Hugo Maradona non si perse d’animo e cercò maggior fortuna in altri campionati europei: spulciando gli almanacchi si scopre che emigrò in Spagna (Rayo Vallecano) e Austria (Rapid Vienna) ma continuò a restare anonimo e dannatamente mediocre.
Trovò maggior conforto anni dopo, in campionati esotici ma dal livello tecnico basso, dove il suo cognome (accompagnato da massicce dosi di pubblicità) gli garantì ancora qualche ingaggio di buon livello. Ecco spiegate, infatti, le militanze in club del Venezuela (Deportivo Italia) e del Canada (Toronto). Nel mezzo, anche tanto Giappone in squadre dai nomi spesso impronunciabili: e chissà se i nipponici, che avevano un campionato quasi dilettantistico, si accorsero di avere a che fare con la copia sbiadita di uno dei Maradona… Pare infatti che qualche buontempone avesse convinto il presidente del Fukuoka, una delle squadre dove giocò Hugo Maradona, che aveva comprato Diego in persona: era solo un po’ più grasso ed aveva cambiato pettinatura! Leggenda o realtà, Hugo riuscì a sfangarla per tanto tempo e, in proporzione al suo reale valore, può considerarsi addirittura soddisfatto della sua carriera.
Ora è lui stesso il primo a sostenere che Diego è unico, per classe e talento cristallino. Essere un parente e sperare solo per questo di avere delle qualità è patetico, oltre che sbagliato. Lo stesso Diego Armando Maradona Junior, l’italianissimo figlio classe 1986 dell’ex numero 10 del Napoli, da bambino fu accostato al padre ma nonostante gli aiuti e qualche spinta non è mai diventato un calciatore di discreto livello. Eppure si è sempre detto che “Buon sangue non mente”, o no? Basta soltanto aspettare; da qualche tempo Diego è diventato nonno del piccolo Benjamin (oltretutto il padre del piccolo è Aguero del Man. City). La domanda nasce spontanea: da grande Benjamin sarà forte come nonno Maradona?
Lucio Iaccarino