Edmundo, O’Animal era un talento purissimo, ma il suo carattere violento gli ha rovinato la carriera e la vita. Fiorentina e Napoli ne sanno qualcosa!

Edmundo

Edmundo O'Animal(foto ilbardellosport.it)

Condannato per omicidio colposo di tre persone, colpevole di aver causato un numero incalcolabile di risse in campo e fuori, distruttore di locali, macchine e segnaletica stradale, donnaiolo, bevitore, facile all’ira e all’uso delle mani (una volta picchiò persino un poliziotto). Sembra di essere in un film western di Sergio Leone quando lo sceriffo sta leggendo i capi d’imputazione del colpevole di turno. Per fortuna, oggi non esistono più le forche ma le galere e il nostro protagonista le ha ovviamente conosciute. Il particolare grottesco è che non parliamo di cronaca nera, ma sempre e solo di sport. Si, perché Edmundo Alves de Souza Neto è stato un calciatore, professione attaccante, e non solo un violento. E senza essere smentiti da nessuno, possiamo dire con impeto che il suo passaggio da campione a bidone (almeno da noi in Italia) si è concretizzato proprio grazie a quella parola di 8 lettere: violenza!

Era un grandissimo talento, questo è poco ma sicuro. Edmundo, brasiliano di Rio de Janeiro, era nato il 2 aprile del 1971 e trattava il pallone come solo i fuoriclasse sanno fare. Aveva piedi da regista, ma anche la concretezza dell’attaccante completo e versatile; per molti il suo futuro era roseo. Ma, come detto, la violenza era nel suo destino e si era manifestata nella sua vita fin da piccolo: il padre era un alcolizzato e la madre tentò più di una volta di scappare da quell’orribile ambiente familiare. Non ci riuscì mai, e come ricompensa veniva picchiata e maltrattata.

Edmundo era scontroso e irascibile fin da bambino, e quando divenne calciatore del Vasco da Gama non era di certo cambiato. Anzi… Come due binari paralleli, la sua carriera e i suoi problemi caratteriali proseguirono con lo stesso impulso; segnò gol a raffica e vinse molto (un campionato statale col Vasco e due titoli nazionali col Palmeiras, il suo club successivo), ma troppo spesso finì anche nel banco degli imputati. Litigava con tutti, e sempre in modo plateale: compagni e avversari, arbitri e giornalisti (una volta prese a calci un cameraman distruggendo tutte le apparecchiature del malcapitato). A volte ci si chiedeva quale fosse la molla che facesse scattare i raptus, ma era inutile: Edmundo era così per natura, non per una scelta ragionata. Una volta fu denunciato dagli stessi brasiliani per gesti osceni, alla fine di un derby. Le sue gesta, sia quelle sportive che quelle brutali, gli valsero un soprannome che spopolò in tutto il mondo: O’ Animal!

Nonostante tutti i difetti, era però un patrimonio tecnico che non si poteva perdere e in molti cercarono di aiutarlo. In Italia Edmundo ebbe due esperienze, con la Fiorentina (dal 1997 al 1999) e col Napoli (2001): parliamo di due squadre non di prima fascia ma desiderose di spiccare il volo. L’ingaggio si O’Animal era certamente un azzardo, ma forse valeva la pena correre qualche rischio. Ci riferiamo soprattutto ai viola che con Edmundo riuscirono per qualche mese a sognare… Con la Fiorentina, infatti, il brasiliano ribelle riuscì a fornire ottime prestazioni per un discreto arco di tempo, senza cadere quasi mai nelle trappole tese dal suo caratteraccio.


Merito dell’allenatore; non quello del primo anno, Malesani, che Edmundo mandò a quel paese più di una volta. Fu quella vecchia volpe di Trapattoni, che arrivo in Toscana nel 1998/99, a gestire con saggezza O’Animal. Quella stagione partì alla grande, con la Fiorentina capace di dettare legge in campionato dimostrando di meritare addirittura il primato in classifica. Tutti giravano a mille: Rui Costa e Batistuta erano in gran forma e, con loro, Edmundo sembrava trovarsi a meraviglia. Gol, assist, dribbling e magie sembravano essere il preludio per qualcosa di meraviglioso e sorprendente. Bellissime sensazioni, ma purtroppo durarono poco…

Trapattoni aveva compiuto un mezzo miracolo con Edmundo, ma alla fine dovette inchinarsi anche lui: galeotto fu il carnevale di Rio… Per i carioca, si sa, è la festa più importante dell’anno: l’occasione per ballare e scatenarsi per giorni e giorni. O’Animal e i suoi procuratori fecero leva sulla clausola del contratto con i viola, in cui era specificato che il brasiliano aveva il permesso di volare a Rio durante il mese di febbraio. Per la Fiorentina, che aveva perso anche Batistuta per un serio infortunio, fu la fine del sogno: il giocattolo si stava irrimediabilmente rompendo. Tutti cercarono di convincere Edmundo a restare vista l’emergenza in  attacco, ma non ci fu verso; O’Animal andò al carnevale mettendo di fatto la squadra in difficoltà. La Fiorentina perse infatti punti decisivi e crollò sul piano nervoso; quando Edmundo rientrò ormai la pozione magica aveva esaurito il suo effetto. Anzi, i mugugni e i malumori di compagni e tifosi finirono col distruggere e spaccare tutto l’ambiente: la Fiorentina si classificò addirittura al terzo posto, dietro Milan e Lazio. O’Animal chiuse il rapporto coi viola dopo 42 presenze e 20 gol, coppe comprese.

Ormai era certo: Edmundo non era per niente credibile come calciatore, almeno in Italia (ma non tutti lo capirono subito). La classe c’era ma il suo carattere era un freno troppo potente: tornò in Brasile dove girò tantissime squadre (come Santos, Flamengo, Fluminense, Cruzeiro per poi ritornare al Vasco e al Palmeiras). Giocò persino in Giappone, approfittando di ingaggi importanti in un campionato mediocre: un binomio perfetto per uno come lui. In mezzo a tutto ciò c’era stato anche il Napoli, con i dirigenti partenopei che evidentemente soffrivano di autolesionismo. Ai piedi del Vesuvio Edmundo diede quasi il peggio di se: indolente e rissoso con i compagni (il portiere Mondini fu malmenato dopo una rissa), poco educato con l’allenatore Mondonico, pigro e poco volenteroso sia in allenamento che in partita. Fu un flop monumentale col Napoli retrocesso in serie B e appena 4 gol in 17 presenze per O’Animal.

Una carriera, e anche una vita, ridimensionata dai suoi stessi errori, ecco quello che può insegnare la storia di Edmundo. Tutta colpa sua, ma anche di chi gli era vicino quando era ragazzo. Qualcuno avrebbe dovuto dirgli che la cosa peggiore nella vita è il talento sprecato. Edmundo ora lo sa, ma è troppo tardi.

Lucio Iaccarino