Giancarlo Antognoni, idolo e bandiera della Fiorentina, si è sempre distinto per classe e forza di volontà! Vinse con la nazionale il mondiale del 1982.
Cosa vuol dire essere una bandiera nel calcio o nello sport? Domanda complessa e risposta altrettanto difficile; il problema è che spesso si fa confusione, specie negli ultimi tempi… Ad esempio si può considerare Totti, con l’ingaggio che ha, una bandiera? Una volta il calcio era diverso, i colori della propria squadra non avevano un prezzo; non c’erano sponsor, procuratori, diritti tv o iene di qualsiasi genere. Se si prende il calcio solo per l’aspetto romantico, allora magari possiamo dire che prima i campioni erano più fortunati, non avendo tante tentazioni.
A Firenze l’amore per Giancarlo Antognoni è infinito, sia per l’uomo che per l’atleta. Un fuoriclasse venerato come un genio del Rinascimento e che, come disse una volta Francesco Graziani, avrebbe certamente vinto il Pallone d’Oro se…
La frase è interrotta e presto scopriremo perché: una bandiera non può mai tornare sui suoi passi.
Giancarlo Antognoni nacque a Marsciano, vicino Perugia, il 1° aprile 1954. Il pallone è fin dall’infanzia il compagno preferito, e nelle lunghe ore pomeridiane passate a giocare con i coetanei emergono subito classe ed eleganza. La dote che lo rendeva unico era quella dei grandi numeri 10: palla a terra e testa alta con cervello e gambe che lavoravano insieme per meglio sviluppare l’azione di gioco. Il battesimo calcistico di Giancarlo Antognoni fu ad Asti, in serie D, dove collezionò 27 presenze e 4 gol. La genialità e la visione di gioco furono notate dal maestro Nils Liedholm che convinse i dirigenti della sua Fiorentina ad accaparrarsi il giovanotto.
Viene acquistato per 350 milioni, un prezzo notevole considerando i tempi e l’età del ragazzo. Ma Antognoni non deluse le aspettative; fin dall’ esordio contro il Verona (ottobre 1972) si sistemò in cabina di regia regalando pregevoli assist ai compagni e sfornando lanci di chirurgica precisione. Un fuoriclasse dentro e fuori del rettangolo di gioco, visto che Giancarlo Antognoni riuscì subito a farsi amare dagli esigenti fiorentini per il suo comportamento educato e cordiale. La squadra viola, seguendo un destino che non si è mai raddrizzato, non era però in grado di lottare con i grandi club del nord e la bravura di Antognoni non fu premiata in modo proporzionale. In particolare, il tanto atteso terzo scudetto (che a Firenze aspettano tuttora dal 1968/69) proprio non voleva arrivare. Giancarlo si diceva però fiducioso nell’impresa e, conquistati i galloni di capitano, provò ad estrarre dal cilindro tutta la magia della sua classe pur di centrare l’obiettivo. Ma, purtroppo per lui e per i viola, in 15 campionati non riuscì mai a brindare per un tricolore.
Eppure nel 1981/82 la Fiorentina arrivò a un solo punto (45 contro 46) dalla Juventus di Giovanni Trapattoni che si impose anche grazie a discusse scelte arbitrali proprio nelle gare decisive. E proprio Giancarlo, con educazione e signorilità ma anche con impeto, denunciò la disparità di trattamento delle squadre medio-piccole al cospetto dei ricchi club del nord. L’amore di tutta la Firenze sportiva si era rafforzato anno dopo anno e Giancarlo era coccolato, adorato, santificato come mai nessun calciatore prima di lui. Le vittorie della Coppa Italia (1974/75) e della Coppa di Lega Italo-Inglese (1975/76) restano le uniche gioie tangibili, ma dietro c’è molto molto di più…
La Juventus a più riprese lo aveva corteggiato mettendo sul piatto un ingaggio tre volte superiore ai suoi guadagni in viola, oltre ad un organico e una squadra che puntava a vincere in Italia e nel mondo. Giancarlo Antognoni finì col rifiutare ogni volta: amava troppo l’affetto del popolo viola, gli allenamenti col sorriso, le passeggiate con la bella moglie per scoprire i dolci sapori di Firenze e le infinite bellezze di una città unica. Ormai non poteva e non voleva tornare indietro; uomini e storie del pallone di una volta, altro che i viziati calciatori di oggi. Giancarlo rimase, nonostante tutto, viola a vita collezionando in serie A 341 presenze con 61 reti.
Antognoni si meritò, e questo è comunque un merito anche della Fiorentina, tanta visibilità e vera gloria con la maglia della Nazionale italiana. Nacque tuttavia pure qualche incomprensione tattica. La funzionalità delle sue doti fu motivo di discussione fra i tecnici nei riguardi del suo ruolo: regista puro o trequartista rifinitore? In effetti Antognoni, a una notevole visione di gioco, alla precisione dei lanci con cui tagliava il campo e a una possente falcata, univa una non comune potenza e una grande precisione nel tiro da fermo. Il talento, però, non si può mai mortificare e alla fine emerge sempre…
Giancarlo Antognoni fu vittima di numerosi infortuni in carriera, il più grave dei quali durante un Fiorentina-Genoa nel 1981. Il portiere rossoblu Martina, in uscita decisa ma non cattiva, colpì con una ginocchiata in pieno volto il povero Antognoni provocandogli la frattura della tempia e lasciandolo esamine sul terreno di gioco: terrore, paura e angoscia in tutti i presenti. Trasportato d’urgenza in ospedale, Giancarlo si riprese solo grazie ad un delicato intervento chirurgico. Nel 1984, invece, si ruppe tibia e perone in seguito ad un contrasto col difensore sampdoriano Pellegrini; seguì una convalescenza lunga e difficoltosa. Tornò in campo dopo un calvario di 15 mesi circa.
Proprio in mezzo a queste sventure, arrivò e con merito la soddisfazione più bella della carriera di Antognoni: la Coppa del mondo con la Nazionale di Enzo Bearzot nel 1982.
Giancarlo, insieme agli amici Collovati, Bergomi e Cabrini fu una pedina fondamentale dello scacchiere azzurro, e a centrocampo regalò prestazioni di ottimo livello mostrando la classe di sempre. Contro Argentina e Brasile dove sfornò assist e lezioni di regia al cospetto dei tanto decantati campioni sudamericani. Contro i verdeoro era andato anche a segno, ma il suo gol (quello del 4-2) fu annullato per un fuorigioco inesistente. Solo un banale infortunio contro la Polonia lo mise ko per la finale vinta con la Germania Ovest: in azzurro il suo bilancio è di 73 presenze con 7 gol. Giancarlo chiuse col calcio dopo una fugace esperienza in Svizzera, col Lugano: molti ricordano ancora la bella festa d’addio, ovviamente a Firenze, il 25 aprile 1989. Il Franchi salutava il calciatore, ma non di certo l’uomo. Certi gesti e certe scelte rimangono per tutta la vita, e forse anche di più. Provate ancora oggi a chiedere a un tifoso della Fiorentina chi è il campione più amato di sempre…
Lucio Iaccarino