Il brasiliano del Venezia, Moacir Bastos Tuta, giocò poco e male, ma passò alla storia per un gol contro il Bari. L’unica rete che non avrebbe mai dovuto realizzare…

Moacir Bastos Tuta

Moacir Bastos Tuta (foto ecodellosport.it)

Diciamo la verità: col nome che si ritrova, e forse in pochi ricordano bene la sua drammatica parentesi italiana, già strappa un sorrisino a tutti i buontemponi del calcio… Moacir Bastos era brasiliano di San Paolo ma era conosciuto come Tuta, anche se la genesi di questo nomignolo resta tuttora avvolta nel mistero! Di certo, però, possiamo dire solo che in Italia queste quattro lettere evocano uno dei più famosi indumenti sportivi; fu acquistato per questo? Certo, sarebbe il colmo dei colmi. Del resto, continuando a scherzare in tal senso, nel nostro paese abbiamo avuto calciatori come Giacchetta (ex Napoli e Torino) o Maglione o addirittura Scarpa.

Insomma, potremmo metterli tutti insieme e formare una nuova squadra… Ma, tornando al nostro Tuta, è stata senza dubbio una scelta saggia e doverosa inserirlo nelle meteore del nostro calcio. Innanzitutto, e ci mancherebbe altro, era davvero scarso (e siamo stati generosi). In più, ed è un’aggiunta che in pochi possono vantare, fu anche sfortunato visto che si trovò al posto sbagliato nel momento sbagliato. Fu infatti il protagonista inatteso di una torbida storia, una delle tante, della nostra serie A; specifichiamo subito però che in questo misfatto Tuta era assolutamente innocente. Anzi, in pratica era una vittima. E per questo da allora ci è diventato più simpatico, oltre che umano. Veniamo alla sua storia…

Tuta nacque il 20 giugno del 1974 a Palmital e si mise in luce come una  giovane promessa giocando prima punta in squadre di medio livello come Portuguesa e Atletico Paranaense. Per essere un attaccante, non segnava vagonate di gol (circa una dozzina in un paio di stagioni; e qui forse già doveva scattare il primo campanellino d’allarme) ma il suo fisico possente e prestante poteva dare ampie garanzie. Era infatti un ragazzone di quasi 190 centimetri e pesava più di 90 kg: uno così in area di rigore può sfruttare l’arma del colpo di testa e fare a sportellate con qualsiasi difensore.

Almeno questo doveva essere il pensiero del vulcanico presidente del Venezia Maurizio Zamparini che, convinto dai suoi dirigenti, ingaggiò il ventiquattrenne Tuta nel 1998/99. L’idea, sulla carta nient’affatto malvagia, era quella di far coesistere in laguna l’imprevedibilità del talentuoso Recoba, la concretezza del bomber Pippo Maniero e la forza esplosiva del nuovo acquisto carioca. Ma francamente per Tuta, e detto senza cattiveria, la serie A era un campionato troppo distante dalle sue qualità tecniche.

Sin dalle sue prime apparizioni ci si rese conto della sua pochezza: lento come un elefante, pigro e molle come una mozzarella, addirittura indisponente sotto porta quando falliva occasioni tutt’altro che impossibili. Gli esperti e arcigni difensori con lui avevano gioco facile, e nonostante l’impegno (quello davvero non mancava mai) Tuta non riuscì quasi mai a imporsi e spesso rimase ai margini della squadra. L’allenatore di quel Venezia era Walter Novellino che più di una volta lo relegò in panchina, anche perché Maniero e Recoba garantivano gol e punti in ottica salvezza.


Il 24 gennaio del 1999 Tuta riuscì, nonostante tutti i suoi limiti, ad entrare nella storia del calcio italiano. Quel giorno era in corso Venezia-Bari e, sul risultato di 1-1, l’attaccante brasiliano (inizialmente in panchina) fu messo in campo da Novellino. Le squadre sembravano accontentarsi della divisione della posta ma, proprio nei minuti finali,  Moacir Bastos Tuta correggeva con insolita bravura un cross dalla sinistra e realizzava di testa il gol del 2-1. In pochi istanti si materializzava qualcosa di strano: nessuno (o quasi) dei suoi compagni esultava per la rete, che fra l’altro era decisiva visto che eravamo oltre il 90°! Qualcuno del Venezia si mise le mani nei capelli, quelli del Bari erano arrabbiati, più che delusi. Nel sottopassaggio, dopo il fischio finale, molti pugliesi (ma addirittura pure qualcuno del Venezia) imbufaliti cercarono di aggredire Tuta, che forse era l’unico a non aver capito l’antifona…

Già, ma che cosa c’era da capire? Il segreto di Pulcinella… Venezia-Bari finì sotto inchiesta, ma non si arrivò a nessuna conclusione certa. La puzza di bruciato, però, la sentirono tutti: probabilmente quella partita doveva finire in pareggio e l’inconsapevole pacioccone Tuta aveva rovinato il biscottone con quel gol nel finale. Con la scusa che non parlava bene l’italiano, dirigenti e affiliati del Venezia gli misero il silenziatore e nessuno parlò più di quella triste vicenda.

A fine anno Tuta fece le valigie col misero bottino di 18 presenze e 3 gol; per lui l’avventura nel campionato italiano era giunta al termine. Ma almeno, aggiungiamo noi, uscì a testa altissima: scarso sì, disonesto mai…Tornò in Brasile e fondamentalmente riuscì a ricomporre i pezzi di una carriera che stava andando alla deriva. Con club prestigiosi come Fluminense, Gremio e Vitoria ritrovò gli stimoli e i gol; per lui anche una breve parentesi nel campionato coreano, utile soprattutto per arricchirsi economicamente.

Dell’Italia  Moacir Bastos Tuta avrà certamente un pessimo ricordo, e non solo perché non è riuscito ad imporsi come nei suoi desideri. Di certo starà ripensando ancora oggi a quella rete col Bari e a un paradosso che è quasi un rompicapo: “Quello era l’unico gol che nessun attaccante avrebbe mai dovuto segnare…”

Lucio Iaccarino