Giunti al termine della stagione è doveroso cominciare a tracciare i primi bilanci. I responsi relativi al Chievo Verona di Domenico Di Carlo sono, tanto per cambiare, molto positivi. Si può tranquillamente parlare di ennesima annata sopra le righe per la squadra della diga che ormai si sta affermando come una delle principali realtà del nostro calcio.
La “favola” continua. Il Chievo Verona porta a termine anche quest’anno il suo “miracolo sportivo” e giunge con due giornate d’ anticipo ad una salvezza che, almeno sulla carta, si presentava come un obiettivo non facile da ottenere. Basti guardare rose ed blasoni di alcune squadre che, fino a pochi giorni fa, erano inguaiate nella zona calda della classifica: Genoa e Fiorentina su tutte, ma anche Cagliari, Palermo…..tutte società che a inizio anno miravano sicuramente a traguardi, se non prestigiosi, almeno positivi, in linea con i sacrifici delle rispettive società.
Basterebbe questa semplice considerazione per evidenziare il grande lavoro che Pellissier e compagni hanno portato a termine in questa stagione. Adesso probabilmente basterebbe lavorare su queste fondamenta, migliorare questa ossatura di squadra per poter progettare un futuro prossimo da protagonista, quel futuro che una piccola società come quella clivense senz’altro meriterebbe.
I meriti per la conquista di questo “scudetto” (è sempre bene ricordare che per una società “piccola” come il Chievo rimanere in categoria equivale a vincere il tricolore, l’importanza è la stessa) vanno come sempre attribuiti a tutta la società: ai giocatori, allenatore, dirigenza, tifosi, staff……..questo è fuori discussione.
In questa stagione però chi si è veramente superato, dando il meglio di sé è stato mister Di Carlo. Proprio lui che a inizio anno venne presentato da alcuni giornalisti come “minestra riscaldata”, proprio lui che solo un anno prima aveva depresso e frustrato l’intera piazza doriana conducendo la Samp ad una retrocessione a dir poco clamorosa e inattesa, nell’annata attuale si è preso la sua rivincita, lasciando basiti coloro che nutrivano non poche perplessità nei suoi confronti. Mai come quest’anno infatti il Chievo ha espresso un gioco a immagine e somiglianza di quella che è l’”idea di calcio” del suo allenatore: squadra sempre molto corta, aggressiva, compatta; grande attenzione riposta alla fase difensiva e volontà di ripartire con contropiedi ragionati.
Un Chievo che si è dimostrato più volte abile nel mantenere il possesso della palla e nel gestire certe situazioni di gioco, aspettando con la serenità dei forti il varco giusto per punire l’avversario. Questi risultati sono stati possibili sia perché il tecnico ha lavorato molto bene a livello mentale trasmettendo ai giocatori una tranquillità ed una consapevolezza nei loro mezzi necessarie per poter giocare con quella “sfacciataggine” che, anche e soprattutto contro grandi squadre, può portarti ad ottenere risultati importanti, sia per l’apporto di alcuni giocatori che quest’anno sono veramente “sbocciati” come fiori in primavera. Parliamo ad esempio di Théréau, Cruzado, Acerbi, Bradley,…….tutti calciatori che con le loro qualità hanno indotto l’allenatore ad imprimere alla squadra una mentalità sovente propositiva e intraprendente, una mentalità, per intenderci, non proprio da “provinciale”. E’ in questo che il Chievo è essenzialmente cambiato: non più una squadra difensivista che gioca solo di rimessa, ma un gruppo che in certe partite riesce anche ad imporre il proprio gioco senza alcun timore reverenziale e senza guardare in faccia l’avversario. Ovviamente il tutto sfruttando quei “piedi buoni ed educati” che quest’anno il direttore sportivo Sartori (ampi meriti vanno pertanto dati anche a lui, anche se forse non c’era nemmeno bisogno di dirlo visto il rendimento al quale ci ha da sempre abituati questo “Ds”) non ha fatto certo mancare al mister e alla piazza.
Puntuale come ormai lo è da anni, la bella realtà clivense si appresta ad affrontare un’ altra stagione nel massimo campionato italiano. Da domani infatti la società si preparerà e si organizzerà per scrivere il prossimo capitolo di questa avvincente “favola” gialloblu, una “favola” che è una palese dimostrazione di come si possa fare buon calcio pur non disponendo di grandi risorse finanziarie e ambientali, una “favola” che sta durando da più di dieci anni ma che, e di questo ne siamo certi, sarà sempre una dei principali spot del calcio nostrano; uno sport attualmente “malato” che non si pratica più negli stadi, ma con le scommesse o nei tribunali, in cui per vincere occorrono soldi, prestigio e una grosse dose di incoscienza. Finché il calcio italiano stazionerà in questa folle ipocrisia, ben vengano nuove realtà come il Chievo Verona, realtà che nel giro di poco diventeranno esempio da seguire per tutti. E non potrebbe essere altrimenti.
Nicola Ledri