Quella volta che nel 1976 un bicchiere di Sangiovese oltrepassò il muro di Berlino. Il racconto di Giampiero Ceccarelli lo storico capitano bianconero.

Formazione del Cesena 1976-77 (immagine dal web)

“Hai più pensato a quel progetto di esportare la piadina romagnola?”. Lo stravagante e insolito progetto imprenditoriale è venuto in mente al cantautore riminese Samuele Bersani nel 1995. Sì, forse è fattibile. Ma l’idea non è così originale come potrebbe sembrare.
Settembre 1976. In Italia c’è il terzo governo Andreotti, Presidente della Repubblica è il democristiano Giovanni Leone. L’Europa dell’Est è ancora un luogo lontano, quasi in un altro mondo. Perché c’è la cortina di ferro, che la tiene separata dall’occidente. E c’è il muro.
Sì, il muro di Berlino, quello che taglia in due una città, una nazione, un continente e il mondo intero. Un confine che squarcia nel mezzo le certezze occidentali e le paure orientali. Lo si vede dall’alto, mentre si atterra. L’aereo è un Tupolev russo, un bestione scomodo e spartano. L’aeroporto è quello di Berlino-Schönefeld, quello di Berlino Est, distante pochi metri ed anni luce di distanza dall’ovest. A bordo giovani e anziani, ragazzi e ragazze, famiglie. Tutti italiani. Tutti romagnoli.

Si scende dal velivolo e si parte in pullman per addentrarsi dentro la Germania Est, direzione Magdeburgo. Panche di legno, fredde, sobbalzi lungo tutti 160 km che separano le due città. Il passaporto pieno di visti, il pensiero delle duecentomila Lire spese, quasi quattro mesi di stipendio, per arrivare fino a questa parte di Europa nascosta e misteriosa, più lontana di quanto non appaia su una carta geografica. Tutto per vedere il Cesena in Europa.

La squadra allenata da Pippo Marchioro, nel campionato appena trascorso, ha stupito l’Italia intera arrivando sesta in classifica e qualificandosi per la Coppa Uefa, grazie anche alla vittoria del Napoli in Coppa Italia che ha liberato un posto nella competizione. Prima volta per una squadra italiana di una città non capoluogo di provincia. Prima volta all’estero per i tifosi del Cesena.
Chissà che mangeranno questi tedeschi. Non c’è molto da fidarsi, meglio andare sul sicuro. Così si riempiono le valigie di tagliatelle, salami, cappelletti e litri di Sangiovese e Cagnina, come racconta il cronista del Resto del Carlino che ha preso parte a quella trasferta.


Samuele, sei arrivato secondo, i cesenati hanno già esportato il meglio della produzione enogastronomica locale. Poi c’è quel tizio che arriva direttamente in macchina, una Mini targata Forlì e il presidente Dino Manuzzi, stupito, gli regala il biglietto per la partita. Già, perché in questa atmosfera da sagra di paese, da gita del dopolavoro ferroviario, c’è anche la partita.
Giampiero Ceccarelli è in campo a Magdeburgo, contro uno degli avversari peggiori che l’urna di Zurigo potesse sorteggiare. Una squadra, quella tedesca dell’est, capace di conquistare anche una Coppa delle Coppe, nel 1974 in finale contro il Milan, ricca di giocatori possenti, fisici prestanti e anche tecnicamente validi, primo tra tutti il centravanti Jurgen Sparwasser.

Lo stadio è l’“Ernst Grube”, i tifosi del Cesena presenti sono circa ottocento, per una sfida dall’esito, sulla carta scontato. “Con il Magdeburgo pagammo l’inesperienza internazionale, in casa loro giocammo contratti e senza quella spregiudicatezza che ci aveva contraddistinto nel campionato precedente e perdemmo 3-0. Oddi si fece espellere per un fallo non in azione di gioco e compromise in parte la nostra rimonta”. Chi parla è proprio Ceccarelli, che ha ancora nitide negli occhi le immagini di quella sfida. E di quegli anni eccezionali per il Cesena.
Una giaculatoria, quella formazione, che i tifosi romagnoli sanno a memoria. Ceccarelli è il numero due, subito dopo il dottor Boranga e subito prima di Lombardi. Tre gol sul groppone e si torna in Italia, con una piccola speranza per la sfida di ritorno. Si gioca allo stadio “La Fiorita” di Cesena (il vecchio nome del Manuzzi) e, tra i bianconeri, Batistoni prende il posto dello squalificato Oddi. C’è aria di rimonta: niente da perdere per la squadra di Marchioro, e tanta spregiudicatezza. Due gol per il Cesena e il sogno sembra a portata di mano.

Lo spezza proprio Sparwasser, che segna il due a uno, rendendo inutile, in chiave qualificazione, il terzo gol cesenate realizzato da Mariani. Eliminato il Cesena, ma l’impresa rimale sugli annali.
“Ricordo un grande entusiasmo tra di noi e la consapevolezza da parte nostra di essere all’altezza della situazione. Per il Cesena si era aperto un nuovo corso, l’impresa fu grande per una città non capoluogo di provincia” ricorda Ceccarelli. Sì, il Cesena di Marchioro può giocarsela anche con una grande squadra come il Magdeburgo, che dà otto undicesimi alla nazionale della Germania Est.
Ceccarelli è una vera bandiera nella storia cesenate: ha indossato quella maglia, e solo quella maglia, dal 1967 al 1985, quando ha appeso gli scarpini al chiodo.

Pensando al Cesena europeo, alla trasferta di Magdeburgo, una domanda sorge, lubranamente, spontanea: è stato questo il Cesena più forte della storia?
La risposta alla bandiera di quegli anni, 591 partite disputate con la squadra della sua città: “Il Cesena più forte di sempre, secondo me, fu quello di Radice in Serie B campionato 1972/73, perché vincemmo un campionato con diversi giocatori che provenivano dal settore giovanile del Cesena, Orlandi, Catania, Ammoniaci ed io. La squadra non fu costruita per vincere e trovò in Radice un allenatore capace e carismatico che cambiò le abitudini di un calcio vecchio, fatto di personalismi, con uno nuovo dove tutti partecipavano al progetto in uguale misura pur nel rispetto dei ruoli. In Serie A, invece, la squadra migliore fu quella di Marchioro con il quale andammo in Coppa Uefa nel campionato 1975/76. Arrivò Frustalupi che insieme a Rognoni, Cera e ad altri che, nel frattempo, erano cresciuti, dette continuità al nostro gioco, fatto di un mix tra classe, fisicità ed esperienza”.


A questo punto vi starete chiedendo come finisce la storia. Curiosi. Vi facciamo raccontare il finale da Ceccarelli stesso: “L’eliminazione la vivemmo come una normalità per una squadra come la nostra, rimanemmo sempre con i piedi per terra, perché la società non aveva soldi da investire in un progetto nuovo e più importante che non fosse quello di raggiungere al più presto una salvezza.
E la nostra realtà rimase quella di sempre: muoversi nel mercato estivo senza grandi sforzi economici cercando di supplire a questo con gente motivata e allenatori giovani che portassero idee nuove”. Capito, Samuele? Idee nuove: quella di esportare prodotti tipici romagnoli è vecchia.

Emanuele Giulianelli