La storia di una partita tra Austria e Germania che non è andata come sarebbe dovuta andare e di colui che ha rovinato i piani tedeschi.
C’è un’altra storia, stretta parente di quella del campionato tedesco vinto dal Rapid Vienna (qui), che vale la pena di essere ricordata. E’ la storia di un altro smacco storico subito dai nazisti, ed il protagonista è senza dubbio Matthias Sindelar.
Più che un calciatore, Sindelar era un artista del pallone: più precisamente un musicista. Mozart, come lo ha soprannominato il grande allenatore Hugo Meisl. “Carta velina”, come lo ha soprannominato qualcun altro per via del suo fisico esile che gli permette di muoversi con agilità sgusciante tra le maglie dei difensori avversari, è nato nel 1903 nella Moravia austriaca, ma presto si trasferisce a Vienna e lì conosce il suo migliore amico, il suo compagno di un’intera vita: il pallone.
Da subito impressiona tutti per le sue doti tecniche, che lo portano a grandi successi. E’ uno dei protagonisti del Wunderteam, la straordinaria nazionale austriaca guidata da Meisl, che miete vittorie in tutta Europa nei primi anni Trenta. Fino all’Anschluss tedesco. Fino a quel fatidico 1938 del quale abbiamo già parlato in questa rubrica.Da quel momento in poi, non ci potrà più essere una nazionale austriaca, ma solo quella tedesca. E i giocatori del Paese annesso saranno chiamati a indossare la maglia bianca della Germania.
C’è un’ ultima partita da disputare per l’Austria, quella che sancisce la sua fine, e dev’essere disputata proprio contro i tedeschi. L’evento è stato fortemente voluto dai nazisti per portare avanti la propaganda della “pacifica annessione” da “festeggiare”.
Si gioca al Prater di Vienna, in un clima surreale, tra le feste tedesche, la pompa magna del regime invasore e la mestizia per chi dovrà lasciare la propria maglia e, soprattutto, la propria identità nazionale. Tutto è preparato a puntino: la Germania vuole mostrare all’Europa e al mondo intero la sua grandezza e prepara tutto in grande stile e per i tedeschi deve essere una grande festa.
Matthias Sindelar scende in campo per l’ultima volta con la maglia dell’Austria. Non può essere una partita come tutte le altre. Non per lui che si è opposto in tutte le sedi ai dettami della nuova potenza tedesca: quando i tedeschi impongono ai calciatori di non salutare i dirigenti delle proprie società di origine ebraica, Matthias si rifiuta di farlo e assicura al proprio anziano presidente ebreo che non gli farà mai mancare il saluto. Ma è in campo che Sindelar dà il suo meglio. Dribbling a tutto spiano, corre, scatta, danza con il pallone tra i piedi.
Per i difensori teutonici, arrivati al Prater convinti di fare una bella kermesse condita da una facile vittoria, c’è da impazzire.
Sindelar, a coronamento della sua magistrale prestazione, realizza il gol del definitivo 2-1 per l’Austria che rovina la festa ai tedeschi.
La beffa per i tedeschi viene completata alla fine della partita. Il protocollo dell’incontro vuole che i giocatori di entrambe le nazionali salutino i gerarchi presenti nella tribuna principale con il saluto nazista. Sindelar e il suo compagno di squadra Karl Sesta restano con le braccia lungo i fianchi. Un gesto che non si dimentica. La leggenda che si è creata in seguito parla addirittura di un pugno chiuso sollevato. Non è stato così.
Matthias si rifiuterà di giocare con la maglia della nazionale tedesca, il commissario tecnico della Germania, una volta capito che non sarebbe possibile convincerlo, rinuncia a convocarlo. La fine di Sindelar è avvolta nel mistero. Matthias muore il 23 gennaio del 1939, accanto a Camilla Castagnola, un’ebrea italiana. Non ha ancora compiuto 36 anni. Si parla di suicidio, di avvelenamento da parte della Gestapo. Le versioni sono discordanti e subito si provvede a mettere tutto e tutti sotto silenzio. Ciò che è certo è che Sindelar rimane un simbolo per il calcio austriaco e per tutto il suo popolo, al punto che è stato votato miglior giocatore del XX secolo del suo Paese. E che in quella partita, a Vienna, ha mandato a monte i piani dei gerarchi nazisti.
Che guastafeste.
Emanuele Giulianelli