Lento e abulico, il baffuto mediano sovietico non lasciò segni vitali in Italia con Juventus e Lecce. Meglio in patria dove giocò in 3 nazionali!
Sarebbe andato a pennello in alcuni dei mitici film western del regista John Ford, e per l’esattezza nel ruolo dello sceriffo. Un tipo quasi anonimo, un po’ vigliacco e un po’ impaurito per quello che gli succede intorno. Pigro per natura, quasi indolente ma mai cattivo; desidererebbe soltanto stare lontano dai guai.
Il bielorusso Sergeij Alejnikov era di un’altra generazione, ma aveva i lineamenti giusti per sfondare come caratterista nel cinema di un tempo. Si adattò a fare il calciatore e, forse per non stravolgere la sua natura nascosta, interpretò il suo sport preferito come un immaginario set cinematografico. Peccato che, soprattutto nella nostra serie A, specchiarsi è quasi un peccato mortale e la sua abulia, anche se accompagnata da qualche valore tecnico, fu una spietata condanna…
Sergeij nacque a Minsk, nell’ex Unione Sovietica, e si mise in luce sin da ragazzino nella squadra più famosa di quelle parti, la Dinamo. Debuttò in prima squadra appena ventenne: giocava e spaziava a centrocampo, avendo in dote un piede sensibile e vellutato che gli consentiva dei lanci precisi per i compagni. Ottimo senso tattico, che sopperiva quella proverbiale lentezza che avrebbe portato sul groppone per sempre.
Per sua fortuna, però, nessuno sembrò dare troppo peso a questa sua attitudine e così Alejnikov divenne un perno fondamentale e insostituibile della squadra: titolare dal 1981 al 1989 con vittoria del campionato sovietico nel 1982. Alla Dinamo Minsk si alternarono diversi allenatori ma in cabina di regia nessuno osava rinunciare a lui: sul suo viso ossuto e mingherlino già erano comparsi intanto i suoi famigerati baffi. Chissà, forse in cuor suo sperava che avessero lo stesso potere dei capelli del biblico Sansone…
Le presenze nella nazionale sovietica ampliarono ulteriormente le sue quotazioni, e la Juventus decise di affidargli le chiavi del centrocampo. Per Alejnikov era arrivata la grande occasione, ma con il suo carattere chiuso sembrò quasi non rendersene conto. Non stravolse nulla del suo gioco, insomma a modo suo era un integralista. La serie A e il calcio italiano si preparavano ai mondiali dell’estate successiva e arrivavano stranieri di tutti i tipi: Sergeij non sfigurò di certo, ma indubbiamente poteva dare di più, anche perché approdava in un club di prima fascia come la Juve. A Torino trovò come allenatore l’immenso Dino Zoff, mentre fra i compagni il connazionale Zavarov, l’istrionico Stefano Tacconi in porta, il funambolico Totò Schillaci e Casiraghi in attacco.
Alejnikov in versione bianconera marcò 30 presenze con 3 gol, e tutto sommato diede un discreto contributo alla linea mediana del sodalizio bianconero. Il campionato non fu entusiasmante, con il poco lusinghiero quarto posto finale: in compenso, però, arrivarono due trofei importanti. La Juventus conquistò la prestigiosa doppietta Coppa Uefa – Coppa Italia, dando così un forte scossone alle critiche e ai tanti insoddisfatti. Non bastò: Sergeij, nonostante la grande professionalità dimostrata, non riuscì a tenere il posto in squadra e fu costretto a cambiare aria. Il soprannome di “ALENTIKOV”, che faceva riferimento ai suoi modi troppo compassati, era ormai il suo marchio di fabbrica a Torino e dintorni. Rimase in Italia e approdò al Lecce del neo-allenatore Boniek, club con tutt’altro genere di ambizioni. L’unico obiettivo dichiarato per i salentini era la salvezza, ma in quel disgraziato 1990/91 non arrivò neanche quella…
Avendo firmato un biennale, Sergeij rimase col Lecce anche in B ma anche in seconda serie non fece la differenza e raramente salì in cattedra come avrebbe potuto: si ricorda soltanto una bella doppietta al Brescia alla seconda di campionato. Il Lecce chiuse con un deludente centro classifica e Alejnikov optò per altri lidi, magari meno illustri ma ben remunerati. Continuò la sua carriera, infatti, in Giappone e in Svezia prima di un ritorno dalle nostre parti, anche se solo a livello dilettantistico.
Maggiori soddisfazioni arrivarono, invece, dalla nazionale ma forse è meglio dire dalle nazionali… Sergeij Alejnikov vanta infatti un record curioso e particolare, di cui pochi possono fregiarsi: dal 1984 al 1994 ha indossato 3 maglie diverse per altrettante nazioni. Ovviamente l’URSS, con un poderoso bottino di presenze (73 con 9 gol) e con la conquista del secondo posto agli Europei del 1988, dietro l’Olanda di Gullit e Van Basten. La successiva disgregazione dell’Unione sovietica ha generato altri contesti e situazioni, e Sergeij ha così giocato anche per la CSI(4 presenze) e per l’attuale Bielorussia; ancora 4 presenze e pure un premio come migliore giocatore nazionale degli ultimi 50 anni.Verrebbe da dire; il mondo e la geografia sono profondamente cambiati, ma Sergeij Alejnikov restava quello di sempre, lento, macchinoso e subito dimenticato dal calcio italiano…
Lucio Iaccarino