Errori di gioventù e sfortuna, ma anche regista di qualità. Scifo con Inter e Torino ha avuto destini opposti, e col Belgio sfiorò un’impresa…

Scifo

Vincenzo Scifo(foto explow.com)

Cadere, rialzarsi, ricadere e infine riprovarci di nuovo. Può succedere davvero di tutto nella vita di un calciatore, che tutto sommato può essere più lunga di quanto si pensi. Anche perché poi ci vuole un attimo per svoltare, cambiare direzione e raccogliere qualcosa di buono. Il curioso caso di Vincenzo Scifo è tutto da raccontare perché in quasi 20 anni di carriera ha portato a galla tutte le sfaccettature conosciute nel mondo delle meteore.

Questo calciatore italo-belga si è ritrovato appiccicato addosso fin da ragazzino il timbro di eterna promessa e ne ha pagato, come altri, il prezzo nel nostro campionato. Ma vedremo che in fondo la scommessa l’ha vinta lui. Ha guardato l’orologio e ha saputo aspettare, per poi trovare la meritata rivincita, anche con la nostra serie A. Scifo è stato inserito nelle meteore proprio come esempio positivo per i suoi “colleghi”: quando si sbaglia, c’è sempre la possibilità di rifarsi. L’importante è avere le qualità…

Il leggendario e compianto Enzo Bearzot lo aveva già adocchiato nel 1984, quando lo vide giocare nell’Anderlecht, squadra in cui Vincenzo Scifo si era messo in luce da ragazzino, quasi da bambino. Il CT del mondiale 1982 avrebbe addirittura voluto impiegare nell’Italia questo gioiellino appena diciottenne, che si muoveva in campo con la classe e il carisma di un veterano.


Del resto Scifo era sì nato in Belgio (La Louviere, vicino Bruxelles, il 19 febbraio 1966), ma da genitori italiani: il padre Agostino e la madre Alfonsina erano infatti di Aragona (Agrigento), ed erano emigrati in Belgio per motivi di lavoro. Il destino ci mise lo zampino, con Vincenzo che, non ricevendo all’epoca offerte da club italiani, optò di farsi naturalizzare belga per poter così partecipare con i cosiddetti Diavoli Rossi ai campionati europei del 1984. Il calcio italiano aveva perso così un piccolo-grande talento, ma come vedremo Vincenzino non voltò del tutto le spalle al suo paese d’origine; sognava sempre, infatti, di poter giocare nella nostra serie A…

Scifo aveva debuttato nel massimo campionato belga appena diciassettenne: dal 1983 al 1987 disputò quattro campionati con la gloriosa casacca dell’Anderlecht, vincendone tre. Poi, nel 1987, arrivò il sospirato approdo in serie A con la maglia dell’Inter, la squadra che già da un paio di stagioni l’aveva opzionato. Il mister era Trapattoni mentre, fra i suoi compagni d’avventura, ricordiamo Zenga, “Spillo” Altobelli e Zio Bergomi. Vincenzino arrivò troppo giovane e inesperto per il nostro campionato e la sua stagione fu purtroppo deludente, con la dirigenza nerazzurra che decise di mandarlo a maturare altrove. Per Scifo, scottato e amareggiato, si aprì allora la pista francese: una stagione a Bordeaux e la poderosa esperienza con l’Auxerre furono un toccasana per la sua carriera. Ottimo in cabina di regia, altruista e generoso coi compagni, il ragazzo trovava sovente  anche la via del gol. Con la mente sgombra e senza troppa pressione, Scifo dimostrò finalmente talento e continuità di rendimento. In poche parole, stava maturando e poteva ritentare l’avventura italiana…

L’Inter però era ormai terra bruciata per lui e si concretizzò invece il Torino; un club emergente e pieno di giovani di talento. Scifo in maglia granata aveva tutte le credenziali per fare bene. Sotto la guida esperta del mister Emiliano Mondonico, il centrocampista belga di origini siciliane trovò quantità e qualità, assicurando al vecchio Toro prestazioni convincenti e di buon livello. I granata raggiunsero una finale di Coppa Uefa (persa in modo immeritato con l’Ajax nel maggio 1992) e vinsero una Coppa Italia, in un’appassionante doppia sfida in finale con la Roma. Era il 1993 e Vincenzino Scifo era ormai una garanzia per gli appassionati tifosi del Torino, ma la sfortuna ci mise lo zampino… Il club rimase coinvolto, infatti, in una pesante crisi finanziaria e, con i conti in rosso, fu costretto a rinunciare ai calciatori più importanti. Fra questi, anche Vincenzo Scifo che ritornò in Francia, in una sorta di esilio dorato, al Principato di Monaco.


Anche se solo parziale, in fondo il suo riscatto nel nostro calcio si era però concretizzato. Scifo è stato comunque un centrocampista dotato di una buona visione di gioco e di un tocco raffinato; un regista alla Pirlo, insomma. Qualche peccato di gioventù, l’applicazione non sempre massimale e un pizzico di malasorte ne hanno condizionato la carriera, ma sono debolezze che gli possiamo perdonare. Del resto, è stato per anni un leader della nazionale belga: al suo attivo uno storico quarto posto ai mondiali del 1986 (piegato solo dal grande Maradona in semifinale) e altre due illustri partecipazioni, Italia 90 e Usa 94. In totale, ben 84 presenze con 18 gol. Vincenzo Scifo, una meteora solo parziale…

Lucio Iaccarino