Mauro Viviani e Adriano Bacconi ci raccontano come nasce l’allenatore che con il suo Shakhtar sta stupendo l’Europa intera.

Mircea Lucescu (immagine dal web)

Mircea Lucescu (immagine dal web)

C’è un segreto dietro la crescita esponenziale dello Shakhtar Donetsk, che ieri sera ha sconfitto i campioni d’Europa in carica del Chelsea e ora si trova in testa, solitario, nel suo girone di Champions League.

Un segreto che, in realtà, tale non è. Ma non c’è dubbio che dietro i trionfi degli ultimi otto anni della squadra ucraina ci sia la guida sicura di Mircea Lucescu, arrivato in quello che un tempo era definito come il granaio d’Europa nel 2004, in grado di conquistare sei Campionati ucraini (su sette totali vinti dallo Shakhtar), quattro Coppe nazionali e altrettante Supercoppe, con la ciliegina sulla torta del trionfo per 2-1, dopo i tempi supplementari, nella finale di Coppa Uefa 2008-09 contro il Werder Brema di Mesut Ozil, Claudio Pizarro, Markus Rosenberg, Torsten Frings e allenato da Thomas Schaaf . Per la cronaca, quella finale è stata l’ultima del torneo con la vecchia denominazione di Coppa Uefa: dall’anno successivo si è passati all’Europa League. Ieri sera il colpaccio contro la squadra di Di Matteo, dopo la vittoria ottenuta contro i danesi del Nordsjaelland e il pareggio di Torino, che autorizza la squadra di Donetsk a pensare in grande anche in Champions League.

CONTINUITA’. Questa è, senza ombra di dubbio, oltre agli investimenti della proprietà, la parola chiave che ha caratterizzato la squadra e la società in questi anni: basti pensare che ben sette undicesimi della formazione che ieri sera ha vinto contro il Chelsea era in campo nella finale di Istanbul contro il Werder nel 2009. Mircea Lucescu è la guida sicura di questa squadra tutta fantasia ricca di brasiliani di talento (se ne contano sette in rosa), con la piacevole scoperta del giovane talento armeno Henrik Mkhitaryan.


Un po’ sciamano, un po’ saggia figura paterna, Mircea è la garanzia in calce al progetto-Shakhtar. I più giovani non ricorderanno che Lucescu ha una lunga esperienza nel calcio italiano. Arrivò nel nostro Paese nell’estate del 1990 chiamato dal presidente Anconetani per il suo Pisa in Serie A, proveniente dalla Dinamo Bucarest. Fu esonerato a stagione in corso, ma proseguì la sua carriera italiana con il Brescia dei connazionali Hagi, Sabau e Raducioiu per cinque stagioni (conquistando anche due promozioni nella massima serie), e con la Reggiana per una. E, dopo una parentesi rumena con il Rapid Bucarest, Massimo Moratti lo volle sulla panchina dell’Inter, ma fu esonerato prima del termine del campionato. Noi di TuttoCalciatori.Net abbiamo incontrato due persone che hanno collaborato con Lucescu nella sua esperienza italiana.

Mauro Viviani è stato suo assistente al Pisa e, come ci racconta, ha avuto un ruolo molto importante per il suo arrivo alla corte di Anconetani.

Come ha conosciuto Lucescu?
“Il presidente Anconetani, prima di ingaggiarlo, mi ha mandato una ventina di volte in Romania per osservarlo. Quando poi firmò per il Pisa io fui incaricato di essere il suo assistente”.

Che tipo di idee ha portato in Italia?
“Era uno troppo avanti per il nostro calcio. Già nell’89 parlava di pressing, fuorigioco sistematico e possesso palla”.

E oggi, come lo vede?
“Mircea è un grande, un giramondo, ma davvero un bel personaggio. Nella sua squadra ha un vero fenomeno, Willian, e pratica un gioco veloce, con un ritmo asfissiante e verticalizzazioni continue”.

Secondo lei perché fallì all’Inter?
“Quello era un gruppo ingestibile. Pensate che Taribo West gli gettò la maglia in faccia dopo una sostituzione”.

Ha qualche episodio curioso da raccontare?
“Eravamo in ritiro al “Villa delle rose” a Pescia, dovevamo affrontare la Juventus: il pullman era già in moto, ma lui non arrivava. Il presidente mi disse di andare a vedere che cosa fossa successo: una volta entrato in camera, trovai Mircea ancora dentro e mi disse “Mauro, non vengo a Pisa. Andiamo all’Atletico Madrid!”. Alla fine riuscii a farlo salire sul pullman; non seppi mai se avesse veramente un accordo con gli spagnoli”.

Si può dire che sia stato lei a portarlo in Italia?
“Diciamo che ho contribuito molto!”

Un’altra persona che conosce molto bene l’allenatore dello Shakhtar è Adriano Bacconi, grande esperto di tattica, per anni alla lavagna della Domenica Sportiva, che è stato accanto a lui nelle esperienze di Pisa e di Brescia.

Bacconi,  la stupiscono i successi del mister?
“Chiaramente qui siamo a livelli altissimi, ma Lucescu ci ha abituato in passato a grandi imprese come la vittoria della Coppa Uefa. Per come fa giocare le sue squadre è più adatto a grandi obiettivi che a lottare per la salvezza”.


Come l’ha conosciuto e che ruolo aveva nel suo entourage?
“Ho conosciuto Mircea quando ancora allenava in Romania. Andai insieme a una delegazione del Pisa, guidata dal presidente di allora Romeo Anconetani, a Belgrado per vedere la semifinale di Coppa Uefa della sua Dinamo Bucarest. A quei tempi ero un giovane preparatore atletico. L’obiettivo della società era portare il tecnico rumeno ad allenare la squadra appena promossa in Serie A e così fu. Anconetani vinse infatti la concorrenza di Corioni, presidente del Brescia, che era presente nel nostro stesso albergo. Iniziai così con Lucescu una lunga avventura che mi ha portato a crescere sia come professionista sia come uomo. È con lui che realizzerai il primo software per fare l’analisi della partita in tempo reale. Da Pisa approdammo insieme al Brescia, con cui vincemmo due volte il campionato di serie B”.

Ce lo può descrivere come tecnico?
“Era un allenatore maniacale, molto attento a tutti i dettagli. Gli piaceva lavorare con i giovani, per i quali spesso pianificava allenamenti supplementari. Lavorava molto sulla costruzione del gioco e sugli aspetti tecnici. La tecnica non era mai fine a se stessa, ma sempre studiata in situazioni concrete di gioco. Sin dai primi anni novanta utilizzammo molto il video a livello didattico e, da questo punto di vista, penso sia stato un grande innovatore”.

Come giudica la sua esperienza in Italia?
“Purtroppo ha fallito nei pochi mesi in cui è stato all’Inter. Fui uno dei suoi più grandi sponsor e insistetti molto con Mazzola per portarlo a Milano. Ma, in quel periodo, all’Inter non c’era modo di fare una programmazione seria. La società ascoltava, purtroppo, lo spogliatoio invece di dare fiducia all’allenatore. Peccato perché in provincia, sia a Pisa sia a Brescia, fece vedere un’idea di calcio nuova e spettacolare. Se possiamo rimproverargli qualcosa è forse una certa inesperienza nella gestione dei calciatori italiani, molto più smaliziati rispetto a quelli che era abituato ad allenare in Romania”.

In cosa è cambiato Lucescu, se è cambiato, da quando ha lavorato con lui?
“Beh, l’esperienza aiuta. Dopo aver lasciato il calcio italiano, ha fatto alcuni anni molto bene in Turchia, prima di approdare in Ucraina. Ma in tutti questi anni non ha mai tradito i suoi principi base. Ha sempre predicato un gioco offensivo e un atteggiamento mentale propositivo. Lo considero il più grande maestro di calcio che abbia mai visto su un campo. Detto questo, è chiaro che le sue squadre sono oggi più equilibrate, curando con maggior attenzione anche la fase difensiva. Comunque, se avete visto la partita dello Shakhtar di ieri sera con il Chelsea, o anche quella di Torino, vi sarete accorti che la differenza la fa sempre da metà campo in su”.

Dove può arrivare questo Shakhtar?
“Difficile da prevedere, perché potenzialmente è una squadra che può competere con tutti a livello internazionale. In sede di presentazione di Juventus-Shakthar a Juventus Channel dissi che, dovendo paragonare il gioco della squadra di Lucescu a un’altra realtà calcistica, assomigliava all’Arsenal, suscitando una certa ilarità. Oggi non riderebbe più nessuno davanti a questa affermazione. I trequartisti di Lucescu fanno paura a tutti per la commistione di diverse capacità: tecnica, dinamicità, sagacia tattica, entusiasmo. Tra l’altro, il suo è un organico che gioca insieme da tempo per cui è già collaudato e con una notevole esperienza di Champions. Tutti avrete visto ieri lo stadio di Donetsk in cui gioca la sua squadra, di una bellezza e di una funzionalità uniche. Infine lo Shakhtar ha un altro grande vantaggio rispetto alle favoritissime: non ha grandi pressioni interne, tutto quello che viene è in più rispetto ai grandi risultati già conseguiti in campionato e nel girone finora disputato di Champions”.

Infine, ha un aneddoto curioso da raccontarci?
“Mi ricordo che quando andavamo a tavola, a mensa Lucescu doveva stare seduto di spalle rispetto ai giocatori. Il presidente, infatti, non sopportava che loro avessero lui come unico punto di riferimento e non prestassero più attenzione alle sue parole e ai suoi sguardi. Anche durante le riunioni tecniche, Romeo Anconetani a volte si intrometteva, geloso del carisma che Lucescu trasmetteva”.

Speriamo di essere riusciti a farvi conoscere meglio il Lucescu di ieri, quello “italiano” per capire quello di oggi.

Lui e il suo Shakhtar che sta sorprendendo l’Europa intera, ma non noi.

 

Emanuele Giulianelli