Michael Laudrup, un talento purissimo che ha vestito 4 maglie di prestigio: Juventus, Barcellona, Real Madrid e Ajax. Classe infinita e una carriera piena di trofei!

Laudrup

Michael Laudrup(foto fcbarcelona)

Addormentarsi e immergersi in maniera totalitaria nel sogno di una vita: è quello che tutti sostanzialmente desideriamo e cerchiamo, anche i più cinici. Qualcuno più fortunato è capace di non svegliarsi mai, qualcuno si riaddormenta e sogna ancora. E se il confine con la realtà diventa sottilissimo, ecco allora il vero senso della vita. Nella grande galleria dei campioni del calcio c’è chi, come Michael Laudrup, ha avuto un percorso quasi divino, magico come l’evolversi del sorriso di una bella ragazza o la placidità del mare dopo la tempesta. Un ragazzo e un uomo serio, un talento purissimo, nato in un posto meraviglioso e protagonista di una carriera itinerante e zeppa di trionfi. Una carriera da sogno, appunto…

Michael Laudrup sbocciò sul nostro pianeta il 15 giugno del 1964 a Copenhagen, nel cuore della Danimarca. Un bimbo predestinato allo sport: il padre Finn giocava a calcio a ottimi livelli, tanto che collezionò 22 presenze nella nazionale danese e militò in club di buon livello sia in Danimarca che nel resto d’Europa. Chiuse infatti la carriera in Austria, nello Sportklub Wiener. La madre di Michael, invece, era giocatrice di pallanuoto; ottimo fisico e grandi qualità, raggiunse la nazionale per poi interrompere l’attività proprio per la nascita del figlio…

Da due genitori del genere non poteva che nascere un campione; anzi due, visto che anni dopo la cicogna portò Brian, altro calciatore di livello internazionale (in Italia con Fiorentina e Milan). Non si arrabbi il fratello più piccolo, ma era Michael il fuoriclasse numero uno di casa Laudrup. E il talento si manifestò precocemente, soprattutto nella prima squadra del Broendby, dove debuttò appena quindicenne nel 1979. Era un formidabile uomo d’attacco, capace di trovare il gol ma anche dotato di piedi sapienti e abile in regia. Un numero 10 moderno e polivalente, che per generosità e tecnica di base si esprimeva al meglio alle spalle delle punte.

Le prime apparizioni in patria stupirono tutti, così come la sua sorprendente facilità di corsa e la raffinatezza dei suoi assist. La Juventus lo visionò più volte e decise di puntare su di lui: Michael Laudrup cominciava così l’avventura in Italia nel 1983. Aveva soltanto 19 anni e in bianconero gli assi stranieri erano Michel Platini e Zibì Boniek; la dirigenza però non voleva rinunciare assolutamente al nostro gioiellino danese, che fu girato in prestito alla Lazio. I biancocelesti erano freschi del ritorno in A e stavano gradualmente organizzandosi per ben figurare nella massima serie. Laudrup disputò coi romani due discreti campionati, imparando anche a soffrire e a sacrificarsi.


Nonostante una cocente retrocessione in serie B, il danese fu comunque fra i migliori meritandosi il ritorno in casa Juventus. Il suo compito era sostituire il partente Boniek e, anche se talvolta peccava in continuità di rendimento, Laudrup riuscì ad essere efficace. Contribuì a vincere titoli, segnando gol fondamentali: come a Tokyo, nella coppa Intercontinentale del 1985, quando dopo un soave triangolo con Platini, segnò da posizione impossibile il gol del pareggio bianconero. Oppure come quando, nel 1986, segnò una rete vitale contro il Milan; quel gol significò scudetto, anche grazie al celebre capitombolo casalingo della Roma contro il già retrocesso Lecce. Lasciò quindi l’Italia con in tasca uno scudetto e un titolo mondiale.

Svegliatosi da un sogno, Michael Laudrup si riaddormentò di nuovo per viverne un altro ancora più dolce: dalla Juventus passò al Barcellona. Una compagine leggendaria e oltretutto allenata da Johan Crujff, grande idolo dell’infanzia e dell’adolescenza danese di Michael. In cinque splendide stagioni con i catalani arrivò la consacrazione della classe e del suo fantasioso modo di concepire il calcio. Tutti regalavano spettacolo a piene mani, e Laudrup condivise successi e trionfi insieme ad assi del calibro di Romario, Stoichkov, Koeman e Guardiola. Vinse la Liga per 4 volte (peraltro consecutive), una coppa del Re, 2 Supercoppe spagnole e soprattutto la prima storica coppa dei Campioni per il Barcellona (a Wembley, nel 1992, contro la Sampdoria). Per due volte, inoltre, fu eletto miglior calciatore straniero del campionato iberico.

Ma non voleva ancora svegliarsi, il grande Laudrup. Aveva ancora tanta fame, visto che nelle ultime stagioni calcistiche fu capace di militare in altri due club leggendari, dove non fu mai una comparsa ma ancora un vincente. Nel Real Madrid si tolse lo sfizio della sua quinta Liga (1994/95) mentre nell’Ajax, la sua ultimissima squadra, vinse campionato e coppa nazionale nel 1997/98. Fu un pilastro anche per la nazionale danese, dove superò le 100 presenze realizzando ben 37 reti. Partecipò a svariati Europei e Mondiali, ma sorprendentemente non era fra i convocati nell’edizione continentale del 1992 in Svezia. In quella Danimarca campione d’Europa, che vinse fra lo stupore di tutti battendo la Germania in finale, c’era invece il piccolo Brian. Giusto per confermare un assioma: nella famiglia Laudrup ci sono solo grandi campioni…

Lucio Iaccarino