A Bologna il brasiliano triste non si ambientò mai: il suo nemico più grande fu il freddo e non solo. Malinconia e sfortuna lo perseguitarono fino alla fine…
Quando la malasorte ti si incolla addosso fin dall’infanzia è difficile anche raccontarlo. Se poi il destino sembra quasi divertirsi a giocherellare con te, la mortificazione e l’amarezza provocano successivamente dolori ancora più lancinanti. Il gioco del calcio, come accade spesso in Brasile, aveva rappresentato ancora una volta l’ancora di salvezza per un giovanotto di colore di poche speranze. La passione, il talento e l’audacia erano riuscite a catapultare questo futuro campioncino dalla strada al football professionistico e aveva messo da parte tutti i cattivi pensieri. Fu soltanto una illusione, perché la malinconia era destinata a ripresentarsi con gli interessi, e per il povero Eneas fu come un viaggio di andata e ritorno nella nostalgia. Il finale fu addirittura drammatico, almeno quello che conosciamo noi poveri mortali. E forse è proprio questa la nostra unica ma vivida consolazione…
Eneas de Camargo era nato a San Paolo del Brasile il 18 marzo del 1954 ed era una classica seconda punta. Agile e veloce, scattante e con un dribbling illuminante, prima di arrivare nel campionato italiano si era distinto nel Portuguesa, dove aveva giocato per circa dieci anni. Non segnava molto, ma era molto stimato dagli allenatori e dai compagni per il suo altruismo e la capacità di sfornare assist decisivi. Eneas aveva discrete qualità, e questo è un dato inconfutabile; del resto aveva persino debuttato nella nazionale brasiliana nel lontano 1974 (in totale 3 presenze con un gol). Nei primi anni ottanta, quando in serie A fu di nuovo possibile tesserare calciatori stranieri, il Bologna decise di puntare forte su di lui. I dirigenti felsinei pensarono alla coppia Eneas-Garritano (storico centravanti ex Torino e Atalanta) per ben figurare nel torneo 1980-81. L’idea di base era ottima, ma nessuno aveva considerato alcuni fattori che devastarono quel povero ragazzo venuto dal Brasile…
L’iniziale ambientamento di Eneas non fu malvagio, con delle discrete apparizioni in Coppa Italia e in campionato. Quando però sopraggiunse l’autunno, e soprattutto l’inverno, il problema del freddo divenne una catastrofe e un muro insormontabile. Abituato al sole brasiliano, Eneas soffrì in maniera totalitaria il clima di Bologna e in campo il rendimento ne risentì moltissimo. Giocava (e viveva ventiquattro ore al giorno) con guanti di lana, calzamaglie e berretto del nonno perennemente in testa! A dicembre qualche tifoso spiritoso gli suggerì di mettere il cappotto sotto la maglia numero 11 del Bologna, e il bello fu che Eneas si stava quasi per convincere… Scherzi a parte, il ragazzo non riuscì mai a reagire e a trovare adeguate soluzioni al problema; la solitudine e persino una punta di depressione si impossessarono di lui e, nonostante l’affetto e la stima dei compagni e dell’ambiente felsineo, i risultati in campo furono disastrosi.
Ci mise anche del suo, ovviamente, sbagliando un numero incalcolabile di gol e intestardendosi in dribbling che non gli riuscivano mai. La sua stagione bolognese si concluse con appena 17 presenze (altro numero poco fortunato) e 3 gol, con un cospicuo numero di infortuni muscolari e persino una crisi familiare con la moglie sofferente di saudade. Dire addio all’Italia divenne inevitabile, anche se ufficialmente fu ceduto all’Udinese nel calcio mercato estivo. In Friuli non giocò mai e rientrò quasi senza pensarci in patria, dove ad attenderlo c’erano diversi club interessati a lui (militò nel Palmeiras, nella Juventude e nell’Atletico Goianiense). Nessuna di queste esperienze fu memorabile, ma Eneas in fondo riusciva a sfangarla e ad andare avanti con dignità. Quando chiuse definitivamente col calcio, nel 1987, aveva in testa molti progetti e sognava di diventare un piccolo imprenditore. Un tragico evento, però, mandò tutto in aria…Nei primi mesi del 1988 Eneas fu coinvolto in un terribile incidente stradale: la sua autovettura si schiantò contro un camion e finì fuori strada. Morì in ospedale dopo diversi mesi di agonia, il 27 dicembre di quel maledetto anno.
Lucio Iaccarino