Oro olimpico e regista dai piedi buoni: il russo sembrava destinato a grandi cose! Si ridimensionò quasi da solo. Col Genoa giocò appena 4 gare. Bocciato all’istante!
Talvolta accade che le congiunzioni, astrali e non, sbaglino di brutto e a quel punto i grandi maghi parlano di premonizioni o paradossi temporali… Come per le stelle, pure il firmamento calcistico è tinteggiato da storie di campioni che sono passati dalle luci del paradiso al buio dell’inferno; il prezzo di questo viaggio può essere il frutto di sfortune, nostalgie o facili trionfalismi. Nel personaggio che andiamo ad esaminare questa volta c’è un po’ di tutto questo, ma anche dell’altro. Tutta l’Europa era ai suoi piedi, almeno così credeva Dobrovolsky… Un po’ saccente, un po’ presuntuoso, un po’ troppo egoista: con questi ingredienti si è rovinato da solo. E quel giudice supremo chiamato Calcio evidentemente non ha gradito…
Igor Dobrovolsky nacque nell’ex Unione Sovietica, precisamente a Markovo il 27 agosto del 1967. Nonostante un pigro atteggiamento mentale e un fisico non proprio atletico, salì alla ribalta del calcio giovanile al tramonto degli anni ottanta. Ad appena 21 anni vinse la medaglia d’oro olimpica di Seul 1988, battendo in finale il Brasile del grande Romario. Non solo: fu eletto miglior calciatore dell’Urss nel 1990, in seguito ad una stagione fantastica per rendimento e capacità tecniche con la Dinamo Mosca. Dobrovolsky era un ottimo numero 10, capace di folgoranti accelerazioni e di aperture millimetriche con entrambi i piedi. Godeva di una grandissima stima tra tutti quelli che erano in cerca di un regista avanzato. Arrivò l’Italia e la nostra serie A: il Genoa lo acquistò a peso d’oro. A causa di un interminabile braccio di ferro col presidente della Dinamo (un generale in carriera che, in realtà, giocava al rialzo con altri club), Igor divenne subito un “caso” misterioso ed ambiguo. Fu parcheggiato per sei mesi in Spagna, al Castellon, dove giocò malissimo; la squadra, del resto, finì dritta dritta in seconda divisione!
Il Genoa cominciò a nutrire dubbi sul suo effettivo valore e qualcuno parlava di un ginocchio malandato e più volte operato… Dobrovolsky fu nuovamente ceduto in prestito nel luglio del 1991, stavolta finendo in Svizzera. Al Servette, club di Ginevra, fu soprannominato “Il principe Igor” e alternò ottime prestazioni con altre imbarazzanti e assolutamente anonime. Talvolta affiorava la sua classe giovanile, ma finiva sempre col rovinare tutto per la mancanza di continuità o per eccesso di superbia. Il Genoa provò comunque a giocare la “carta-Dobrovolsky” nell’estate del 1992, quando si cercò di inserirlo nel nostro selettivo campionato. Igor era uno dei quattro stranieri sotto-contratto, insieme al brasiliano Branco, al ceco Skuhravy e all’olandese Van’t Ship.
Nel club ligure si alternarono due allenatori, Bruno Giorgi e Gigi Maifredi, e Igor ebbe problemi seri con entrambi: giocò soltanto 4 partite in serie A (sommando la miseria di 249 minuti), realizzando un gol quasi per sbaglio. Finì presto nel dimenticatoio, dando la colpa del suo fallimento a compagni, allenatori, presidente, tifosi ecc. Per uniformarsi alla situazione e rimanere coerente, fece le valigie e collezionò fallimenti in mezza Europa. Dobrovolsky, infatti, giocò anche in Francia (dove il discusso presidente del Marsiglia Bernard Tapie stravedeva per lui), in Spagna con l’Atletico Madrid e persino in Germania col Fortuna Düsseldorf. Dappertutto rimase un genio incompiuto, tradito pure dal fisico e da piccoli infortuni muscolari. Coi francesi fu stritolato dalla concorrenza di campioni assoluti, come ad esempio gli stranieri Boksic, Voller e Abedì Pelé. Addirittura Igor non fece neanche parte della delegazione marsigliese che a Monaco incontrò il Milan vincendo la prestigiosissima Coppa dei Campioni.
Persino in nazionale Dobrovolsky riuscì a farsi dei nemici, pur arrivando a 25 presenze e 7 gol con la selezione dell’Urss (per la cronaca, vanta delle apparizioni anche con CSI e Russia). Quando aveva circa 27 anni, si profilava per lui un’altra grande occasione per mettersi in mostra: la Coppa del mondo in America del 1994. Il finale di quell’avventura si commenta da solo: insieme a Shalimov, Kanchelskis e Kiriakov, il (poco) saggio Dobrovolsky decise di boicottare la manifestazione per contrasti con il tecnico Sadyrine. Contento Igor, contenti tutti…
Lucio Iaccarino