La Pistoiese del 1980 si affidò al brasiliano per salvarsi, ma difficilmente poteva scegliere peggio! Equivoci, bugie, errori e orrori di un flop epocale!
L’importanza di studiare e conoscere in modo appropriato una lingua straniera parte dalla nostra esperienza scolastica e si rinnova quando, successivamente, si cerca un lavoro o un’occupazione. In alcuni contesti è quasi un imperativo parlare addirittura tre o quattro lingue straniere in modo fluido e corretto; insomma, saper comunicare con i propri simili è un principio fondamentale per un paese civile. L’incredibile storia, accaduta solo pochi decenni fa ma che sembra invece appartenere ad un’altra era geologica, che ci accingiamo a raccontare ha per protagonista proprio un clamoroso errore di comunicazione; un disguido nato dall’errata interpretazione di una parola da una lingua all’altra. Un calciatore brasiliano divenne meteora per un’incomprensione simile a quella di un film comico o di una barzelletta da bar: ma la realtà talvolta supera la fantasia…
Luis Silvio Danuello era un mediocre ma onesto centrocampista carioca, nato a Julio Mesquita il 28 gennaio 1960; aveva vissuto qualche esperienza significativa nelle giovanili del Marilia per poi debuttare in club importanti come il Palmeiras e il Ponte Preta. Non era niente di eccezionale, e forse lui era il primo ad ammetterlo. Ma giocare a pallone, da buon brasiliano, era un suo chiodo fisso e quando gli si presentò una ghiotta occasione decise fermamente di coglierla al volo! Nel 1980/81 la famigerata riapertura degli stranieri nella nostra serie A coinvolse illustri campioni e famigerati bidoni: Luis Silvio faceva ovviamente parte della seconda categoria… Su di lui, che aveva poco più di vent’anni, piombò la matricola Pistoiese, il cui unico obiettivo era la permanenza nella categoria. Il colossale pasticcio di comunicazione si materializzò proprio nel momento della firma del contratto, protagonisti Luis Silvio e i rampanti dirigenti toscani!
Alla semplicissima domanda: “Sei una punta?”, il giovanotto venuto da San Paolo del Brasile rispose candidamente: “Ponta? Oh, si! Ponta!”, confermando con evidenti gesti affermativi! Ma lo sciagurato equivoco si era ormai compiuto: Luis Silvio per “ponta” aveva inteso “ala”, che in effetti è la reale traduzione nella lingua portoghese-brasiliana. Mentre per noi italiani, compresi gli ingenui amici della Pistoiese, la “punta” è ovviamente il centravanti d’area di rigore. Non sappiamo se il flop di Luis Silvio nasca effettivamente da questo dialogo alquanto bizzarro, ma un teatrino di questo tipo strappa ancora oggi un bel sorriso a tutti gli appassionati di calcio. Il dato certo fu che il rendimento del brasiliano fu a dir poco insufficiente, con appena 6 misere presenze in campionato. Spaesato e inconcludente, Luis Silvio si notava in campo solo per la folta capigliatura scura: l’allenatore Lido Vieri lo accantonò con la stessa velocità con cui uno come Zeman si divora una sigaretta. Bocciato senza appello, e per giunta in una squadra mediocre come lui…
La Pistoiese finì ultimissima con appena 16 punti e retrocesse in B nonostante calciatori del calibro di Agostinelli, Paolo Benedetti, l’attaccante Chimenti e soprattutto del futuro mister campione del Mondo Marcello Lippi! Le poche partite ufficiali giocate da Luis Silvio furono talmente devastanti per lui che sulla sua figura quasi mistica i tifosi inventarono leggende mitologiche… Come quella, ad esempio, che la Pistoiese gli suggerì un nuovo delicato incarico in società: vendere i gelati in tribuna! Presunti produttori e registi cinematografici, invece, si fecero avanti per sfruttare Luis Silvio come attore. Aveva un visino niente male, suggerivano le giovani tifose della Pistoiese, e poteva diventare il nome nuovo per una serie di fotoromanzi o film a sfondo sentimentale…
Su di lui, tuttavia, si persero le tracce e persino i tanto amati almanacchi trovano difficoltà sul suo conto. Di certo sappiamo che tornò in Brasile e sfruttò la freschezza della giovane età per strappare qualche contratto professionistico. In fondo, poteva dire che aveva giocato nella serie A italiana e all’epoca non era un privilegio destinato a tutti. Superati i trent’anni, ha cambiato diversi lavori e vive sereno e tranquillo con la sua bella e grande famiglia. E come tutti i papà brasiliani, coltiva fiducioso un piccolo grande desiderio: vedere uno dei suoi figli diventare un calciatore affermato e magari titolare nella Seleçao. Sperando con tutto il cuore che il figlio non sia come il padre…
Lucio Iaccarino