La Juve puntava su di lui per il dopo Platini, ma in due anni il suo apporto fu talmente mediocre da finire in panchina. Sasha fu il primo sovietico in Italia!
Sembrava il protagonista di uno di quei film americani dove, in una tranquilla località di campagna, si insediano sotto mentite spoglie gli extraterrestri… Le sue affinità in questione sono fisiche, a differenza ad esempio dell’ex milanista Kaka che era soprannominato Extraterrestre per le sue indubbie capacità tecniche e agonistiche. Zavarov, tuttavia, sembrava un extraterrestre solo a guardarlo: atteggiamento perennemente oscillante fra il timido e il pigro, capelli di un tenue biondo-opaco, sguardo gelido come un killer in pensione e soprattutto un atteggiamento mentale lontanissimo da quello di un atleta. Eppure anche lui fece una comparsata nel nostro massimo campionato di calcio e finì per danneggiare, o comunque per deludere, il nostro club più titolato: la Juventus. Per la serie “Anche i ricchi piangono” e sbagliano straniero…
Tuttavia l’ex sovietico Aleksandr Zavarov (Voroshilovgrad, 26 aprile 1961) aveva in patria un nomignolo di tutto rispetto, come Lo Zar. Nella sua prima vera squadra di livello, la Dinamo Kiev del colonnello Lobanovski, si era messo in mostra come un elemento dall’elevato tasso tecnico e con piedi più brasiliani che europei. Zavarov (che debuttò precocemente anche in nazionale) era un centrocampista abile soprattutto in cabina di regia, superbo nel servire i compagni e incisivo davanti alla porta avversaria.
Insomma, un autentico numero 10 che, in quanto tale, divenne un boccone appetibile in ottica calcio-mercato. La Juventus dell’eterno Dino Zoff in panchina stava vivendo una fase di transizione ed era a caccia dell’erede di Platini. Ovviamente nessuno immaginava che Zavarov potesse emulare integralmente il genio francese, ma quando fu ingaggiato molti addetti ai lavori erano convinti che fosse un ottimo acquisto. Sasha Zavarov debuttò in serie A (primo calciatore sovietico nella storia) in Como-Juventus del 9 ottobre 1988; a Natale si era già capito che per lui tirava una brutta aria.
Mister Zoff ebbe molta pazienza con lui e cercò di cambiargli spesso posizione in campo, magari anche solo per stimolarlo. Ma il raccolto fu davvero magro; appena 32 presenze con 2 gol e tante insufficienze in pagella. Zavarov soffrì più del previsto i difensori duri e arcigni della nostra serie A, perdendo sistematicamente tutti i contrasti. Nessuna traccia dei suoi assist vincenti, dei suoi calibrati calci di punizione o di qualche intuizione geniale. La Juventus si classificò solo al quarto posto, ma le poche soddisfazioni portavano la firma dei vari Laudrup, Rui Barros o dell’attempato Altobelli. Tuttavia, l’alibi morale dell’ambientamento giocò a suo favore e la società decise di confermarlo per la stagione successiva, affiancandogli il connazionale Alejnikov mentre in attacco firmarono Totò Schillaci e Pierluigi Casiraghi.
Proprio questi due giovani e promettenti attaccanti finirono, pur avendo una collocazione tattica diversa dal sovietico, con l’oscurare per sempre la già traballante stella dell’ex Dinamo Kiev. Sasha migliorò il suo bottino di gol in campionato (anche se 5 resta un numero poco redditizio) ma fu gradualmente emarginato dall’undici titolare. Fra mille peripezie, Zoff riuscì a vincere due trofei importantissimi: la Coppa Uefa e la Coppa Italia. Il dato più agghiacciante fu che nelle finali, rispettivamente contro Fiorentina e Milan, il nome di Zavarov era assente dai tabellini, sia nelle gare d’andata che in quelle di ritorno. Certo, qualche fastidioso infortunio muscolare aggravò la sua condizione ma gli alibi erano ormai ridotti al lumicino. La sua cessione divenne realtà l’estate successiva, con i tifosi bianconeri che quasi tirarono un sospiro di sollievo… Finì nel campionato francese e si accasò al Nancy, che diversi anni prima era stato il primo club professionistico di Platini. Un altro bizzarro e curioso scherzo del destino per Zavarov, che suo malgrado sembrava costretto a rincorrere (senza raggiungere mai) le orme del tre volte Pallone d’Oro.
Nel Nancy, tuttavia, Sasha riuscì a sfangarla per cinque stagioni con discreto profitto, ma la squadra di certo non era attrezzata per ambire ad alti livelli. Forse solo in nazionale, la cara vecchia bistrattata Urss, Zavarov ottenne migliore visibilità: partecipò infatti a due edizioni della fase finale della Coppa del mondo. Nel 1986 in Messico marcò 4 presenze e un gol (al Canada), prima di arrendersi solo ai calci di rigore con Belgio agli ottavi di finale; quattro anni dopo, in Italia, chiuse la sua avventura nel girone con l’Argentina di Maradona, realizzando comunque un gol (al Camerun) in tre presenze. Il totale con l’Urss è di 41 presenze con 6 centri. Dopo il campo Zavarov, che dal 1992 è diventato cittadino ucraino, non ha mollato ed ha intrapreso l’attività di allenatore. Purtroppo per lui, finora i risultati sono simili alla sue esperienza italiana con la Juventus. La sua unica piccola consolazione è quella di non doversi più specchiare nel fantasma di Platini, che come sappiamo ha seguito un percorso professionale molto diverso…
Lucio Iaccarino