Il nomignolo El Piscador, che in Uruguay gli aveva portato fortuna, non bastò nella nostra serie A. Centravanti da zero gol, con un mare di errori e con una leggenda.

Victorino

Victorino alias El Piscador (foto storiedicalcio)

Alcuni estimatori del grande Pelé, nell’eterna diatriba su chi sia il calciatore più forte di sempre, ultimamente hanno esposto una teoria utile e tutto sommato plausibile: quando il brasiliano giocava regalando spettacolo, la TV non era sempre presente come ora, anzi… Sembra una sottigliezza, ma c’è del vero: tante sue prodezze sono state viste da pochissimi eletti, altre addirittura non hanno testimonianze visive. Come confermò l’ex calciatore Sormani, ai tempi di Pelé in campo c’era una sola telecamera (e neanche sempre), ai tempi di Maradona se ne trovavano tre o quattro, ora con Messi si arriva a 10-12 e tutto ciò è indubbiamente un vantaggio per i campioni contemporanei.

Ci sono poi i casi opposti, e anche loro hanno diritto di esistere. Ad esempio, per l’uruguaiano Victorino (che grossomodo è nato dieci anni prima di Diego) il contesto televisivo doveva quindi essere sfruttato nell’immediatezza di un evento, di un singolo episodio. La sua fortuna fu proprio quella di trovare la gloria nel momento opportuno, in una partita del suo Uruguay contro l’Italia. Era il 1981, precisamente il 3 gennaio e la posta in palio era la sconosciuta Copa de Oro, che molti ricordano come Mundialito. I 90000 del Centenario di Montevideo videro la loro nazionale sconfiggere gli azzurri per 2-0, con un gran gol proprio del guizzante Victorino!

Waldemar Victorino, che era nato proprio a Montevideo il 22 maggio 1952, trovò in quella serata il lasciapassare per l’Europa (e come vedremo per l’Italia). Aveva alle spalle una proficua carriera in patria, in particolare col Nacional: agile e scattante come una lepre, dotato di un buon feeling con la porta avversaria ed era svelto nel servire i compagni smarcati. Tecnicamente può ricordare il brasiliano Bebeto, che giocò qualche anno dopo di lui ma che possedeva lo stesso brio. Victorino, che con l’Uruguay mise a segnò 15 reti in 33 apparizioni, fu fondamentale per il Nacional nel mitico biennio 1980-1981: tre titoli conquistati in pochi mesi! Campionato, Coppa Libertadores e Coppa Intercontinentale, con Waldemar e segno col gol decisivo (1-0) nell’accesissima finale fra Nacional e Nottingham Forest. Ma, come già accennato, fu l’eurogol al portiere interista Bordon nel Mundialito a spianargli la strada nella nostra serie A, che aveva appena riaperto le porte agli assi stranieri.


Fu l’ambizioso Cagliari ad ingaggiarlo e con l’entusiasmo di chi ha voglia di spaccare il campionato: i sardi infatti si erano assicurati anche le prestazioni del peruviano Uribe, altro mestierante scaltro… Victorino, da buon sudamericano, si adeguò al clima di festa e promise un torneo d’alta classifica: in realtà per tutti l’amara realtà stava per riempire i calici solo di amarezze e delusioni. Victorino giocò soltanto dieci partite e senza realizzare neppure un gol, per la disperazione dell’allenatore Gustavo Giagnoni. “El Piscador”, il soprannome che Waldemar si portava dietro fin da ragazzo, non si ambientò adeguatamente sia nel rettangolo di gioco che fuori. I palloni sono uguali sia in Sudamerica che in Italia, ma per Victorino non era così: molle e svogliato, sembrava giocare male quasi con coscienza e per diritto divino. E i bei tempi in Uruguay divennero solo motivi di sconforto e di lacrime durante i ritiri con gli isolani… In quel 1982/83, che i tifosi della Roma ricordano con gioia per la conquista del secondo scudetto, il Cagliari chiuse al 14° posto con 26 punti. Arrivò la retrocessione in serie B per un punto appena; Genoa, Pisa e Ascoli finirono a 27 punti. Fu l’ultima beffa di un torneo sciagurato!

Le valigie per Victorino erano comunque già pronte, anche in caso di salvezza: l’uruguaiano salutò amici e colleghi e si trasferì in Argentina. Troppo grande la delusione e il duro boccone da digerire, meglio cambiare aria. L’alibi che molti non presero in considerazione, ma che a nostro giudizio ha un certo peso, fu quello dell’età: Waldemar arrivò a Cagliari a trent’anni già compiuti e non è un aspetto da trascurare. L’ambientamento tecnico e tattico, la lingua e la preparazione atletica differenti sono certamente assimilabili diversamente da un “vecchietto” piuttosto che da un ventenne agli inizi della sua parabola calcistica. E infatti Victorino non fu mai più lo stesso, anche dopo la triste parentesi italiana…

Nel Newell’s, che pure l’aveva pagato non poco, restò un paio di stagioni ma senza incantare e incidere. Finì la carriera in Ecuador per poi cambiare professione, divenendo un affermato procuratore. Chiudiamo il suo racconto con una fantastica leggenda metropolitana, certamente una frottola grossa come una casa ma che strappa ancora un sorriso! Quando Victorino deludeva dirigenti e soprattutto tifosi del Cagliari in quel lontano 1982, cominciò a circolare per tutta la Sardegna una clamorosa indiscrezione: quel centravanti non era il vero Victorino, bensì il fratello gemello scarso! E alla base c’era una truffa da parte dei dirigenti uruguaiani! Cosa aggiungere? Beh, che gli anni ottanta erano belli anche per questo…

 

Lucio Iaccarino