Ecco la storia di Felice Evacuo, il bomber riconoscente, esiliato dagli ultras del Benevento.
A 31 anni un calciatore è ormai agli sgoccioli della propria carriera, a quell’età si è ad un passo dalla fatidica linea di demarcazione che separa un protagonista da ex campione. A 31 anni si ha la maturità di comprendere la vera essenza della vita, di rapportarsi in maniera corretta con lo sport, senza problemi, senza esasperazioni.
Felice Evacuo nasce a Pompei il 23 agosto del 1982 e di professione è attaccante. Segnare goal è sempre stata la sua specialità, sin da quando, a 16 anni, si allenava con le giovanili della Turris, club che gli ha poi offerto l’accesso al calcio professionistico. L’emozione dell’esordio in Serie A, a 19 anni, con indosso la casacca della Lazio è certamente uno dei ricordi indelebili della carriera di questo bomber, così come l’ultima stagione, quella passata alla Nocerina, club e città in cui si è trovato molto bene, entrando nel cuore dei tifosi.
Evacuo oggi gioca per il Benevento, squadra di una magnifica città campana, e ne veste anche i gradi di capitano, con grande orgoglio e grande professionalità. Quando domenica 6 ottobre 2013, il Benevento ha giocato contro la Nocerina, nel derby campano di Lega Pro, Felice Evacuo si è ritrovato faccia a faccia con la sua vecchia squadra, con i compagni con i quali ha giocato fino a qualche mese prima, con i tifosi che inneggiavano il suo nome. A fine partita allora, è andato sotto la curva, quella occupata dai tifosi molossi, per testimoniare il suo legame, ancora vivo con i colori rossoneri. Un gesto semplice, un moto spontaneo, il simbolo di un uomo di 31 anni che non può e non vuole dimenticare quanto di bello gli è stato regalato nella sua precedente esperienza lavorativa. Questo gesto innocente, questa bella manifestazione di umanità, ha però finito per rivoltarsi contro Felice Evacuo, accusato di alto tradimento dai tifosi del Benevento.
Gli ultras del Benevento hanno infatti interpretato il gesto di Evacuo come un vero affronto alla propria squadra, diramando un comunicato davvero molto duro contro il bomber:
“Il signor Felice Evacuo ENTRO STASERA deve effettuare la RESCISSIONE DEL CONTRATTO senza attendere decisioni altrui; contestualmente alla rescissione è pregato di LASCIARE LA CITTA’ entro lo stesso termine. Non solo. L’eventualità che Felice Evacuo possa presentarsi alla prossima seduta di allenamento sarà considerato un AFFRONTO ALLA CURVA SUD e come tale sarà trattato”.
Ecco come un semplice gesto, naturale e spontaneo, si possa trasformare in un affronto, in un pretesto per cacciare via dalla propria squadra un calciatore, per “scomunicarlo” e addirittura intimargli di lasciare la città. Aldilà delle rivalità calcistiche il gesto degli ultras del Benevento è davvero poco comprensibile per chi osserva il calcio in maniera distaccata rispetto alle problematiche “territoriali”. Certamente lui, il bomber, Felice Evacuo, si sarà trovato colto alla sprovvista, inaspettatamente sul banco degli imputati per un gesto di una semplicità disarmante, male interpretato dai tifosi della squadra per cui, fino a poche ore prima, aveva lottato e sudato, portando a casa, insieme ai suoi compagni, una bella vittoria ai danni della Nocerina.
Cosa avrebbe dovuto fare Evacuo? Avrebbe dovuto odiare quegli stessi tifosi che fino ad un anno prima erano al suo fianco? Avrebbe dovuto disprezzare una città, dove probabilmente avrà numerosi amici, soltanto perché è passato al Benevento?
Il calcio inteso come una guerra, come un gioco di schieramenti, questo è alla base del comunicato degli ultras del Benevento, invece Felice Evacuo vede il calcio diversamente, lo vede come uno sport ricolmo di valori, di sentimenti, capace di suscitare emozioni forti in chi lo guarda senza dover ricorrere a estremismi ed accese rivalità. Per questo motivo, nonostante non avesse nulla di cui scusarsi, Evacuo ha deciso di diffondere un video nel quale si è detto “dispiaciuto per aver creato un problema alla società, ai tifosi e ai miei compagni”.
Evacuo non avrebbe meritato l’umiliazione di doversi scusare per un gesto che dovrebbe essere la normalità in uno sport martoriato da stupidi campanilismi e violenze ingiustificate, non avrebbe meritato di cospargersi il capo di cenere soltanto perché “non dimentica”. Non avrebbe probabilmente meritato niente di quello che gli è successo dopo quel saluto, ma si è voluto scusare lo stesso, lo ha fatto, probabilmente, per continuare a fare, in pace, quello che gli è sempre piaciuto fare, giocare a calcio e mettere la palla in goal.
Nicola Mirone