La squadra di Papa Francesco vince il titolo ma il movimento calcistico è in crisi: violenza, corruzione debiti e livello tecnico sempre più basso.
Lo scorso mese si è concluso il “Torneo Inicial 2013” in Argentina. Ha vinto il San Lorenzo de Almagro, una curiosa casualità che “el Ciclón” l’abbia spuntata, tornando in testa dopo sei stagioni proprio nell’anno in cui un suo grande tifoso ascende al trono del Vaticano.
I rossoblu allenati da Juan Antonio Pizzi (da pochi giorni passato al Valencia) hanno chiuso con 33 punti in 19 giornate, frutto 9 vittorie, 6 pari e 4 sconfitte, 29 gol fatti e 17 subiti. Hanno vinto senza dominare, tanto è vero che a 90’ dal termine erano addirittura quattro le squadre ancora in corsa per il titolo e che il calendario aveva preparato una deliziosa sorpresa: scontri tra la seconda e la prima e tra le altre due seconde in classifica. Alla diciottesima giornata, infatti, il San Lorenzo aveva solo due punti di vantaggio su Vélez Sarsfield, Newell’s Old Boys e Lanús. Ha prevalso la paura ed i due scontri son finiti con due pari.
Ed è che la paura di sbagliare è forse il principale leit motiv del calcio argentino odierno, sommerso da anni in una crisi che sembra non avere fine. Come in Italia, prevale l’idolatria verso il risultato a tutti i costi. Come in Italia e molto più che in Italia, la violenza è una piaga che uccide giorno dopo giorno il campionato ed imprigiona le squadre. Come in Italia, ogni anno si promette di cambiare ma alla fine non si cambia mai. Come in Italia, quel che cambia varie volte l’anno è l’allenatore, unico capro espiatorio degli errori di tutti.
Lo stesso San Lorenzo è un club in forte crisi, perso nella mediocrità da anni, con l’allenatore Pizzi costantemente discusso e che alla fine è andato via nonostante il titolo conquistato, perché cosciente che alla prima sconfitta sarebbe stato (ri-)messo in discussione.
E con lui andran via una volta di più i migliori talenti. Perché tutti i club sono in difficoltà economica ed appena arriva una offerta mediamente accettabile vendono, lasciando partire calciatori con appena una manciata di gettoni tra i professionisti ma che già si credono stelle perché procuratori e dirigenti li han gonfiati allo scopo di attirare l’allocco che spera di aver fatto un affare comprando il nuovo Messi o il nuovo Zanetti.
E sullo sfondo l’endemico problema della violenza, delle barra bravas. Già da tempo le trasferte sono vietate in tutti gli stadi senza eccezione alcuna. E non è che la cosa limiti il fenomeno. Il match decisivo per il titolo, quello sopracitato tra Vélez e San Lorenzo dello scorso 15 Dicembre, stava per saltare quando la polizia aveva trovato nascosti nello stadio una quantità allarmante di fumogeni, bengala e altri oggetti simili; due ore prima del match la partita era stata rinviata; poi l’intervento del Governo (che non è che non abbia di meglio a cui pensare…) e del capo della polizia, che si assunsero le responsabilità di eventuali incidenti, resero possibile l’atto finale della stagione.
E così si va avanti da anni. Mentre altrove ci si muove decisi per eliminare i gruppi organizzati (ultimo esempio recente, il Real Madrid che si propone di “disattivare” gli UltraSur), a Buenos Aires e dintorni le relazioni tra questi speudo-tifosi ed i dirigenti si stringono sempre più. Ogni partita mette sottosopra il quartiere in cui si gioca. Se qualcuno che non conosce la situazione si trovasse casualmente nei dintorni in giorno di un Boca vs River, penserebbe che l’Argentina sia in guerra civile. Mentre è “solo” fútbol. Invece le famiglie, i bambini e gli anziani sono ormai banditi dagli stadi. Che poi, se non lo fossero, probabilmente comunque non ci andrebbero. Perché c’è poco da vedere. Partite brutte, violenza anche nel rettangolo verde, allenatori che pensano a salvare il posto e per questo vogliono aver tutto sotto controllo, bandendo la creatività nel Paese che ha dato i natali a Di Stéfano, Sivori, Maradona, Bochini, Ortega, Messi.
Infine, problema minore, il formato del torneo. Qualcuno ha mai capito come funziona il sistema dei tornei Apertura/Clausura? O, almeno, perché è così? Sicuramente da questa parte dell’Atlantico siamo in pochi. Diciamo che la cosa non sembra tanto diversa che da noi: il campionato ha un girone di andata e uno di ritorno; la differenza è che alla fine del girone di andata si assegna un titolo vero (e non il nostro simbolico “titolo d’inverno”) al primo in classifica e nel girone di ritorno si riparte tutti da zero, così che alla fine di ogni anno ci son due campioni nazionali.
Dalla scorsa stagione, per confondere ulteriormente le idee, han cambiato nomenclatura, eliminando “Torneo Apertura”/”Torneo Clausura” e passando a “Torneo Inicial”/”Torneo Final”. Perché l’Inicial si gioca a fine anno ed il Final a inizio anno è un mistero. Ai lettori prego anche di non chiedermi come si stabilisce chi gioca le competizioni internazionali o chi retrocede o perché non semplificano il formato: negli ultimi anni l’ho chiesto a molti argentini e non lo san bene neanche loro . . . .
Mario Cipriano