Cinque volte campione d’Europa col Real Madrid, Pallone d’Oro ’57 e ’59, poi anche allenatore e presidente del club blanco.
Se ne è andato nel pomeriggio di Lunedì Alfredo Di Stéfano. Aveva 88 anni. Il presidente onorario del Real Madrid, malato da quasi dieci anni, aveva avuto un arresto cardiaco lo scorso Sabato e da allora era in coma indotto. È stato uno dei più grandi della storia del calcio, secondo alcuni il più grande di tutti. Idolo di un fútbol antico, genuino, duro ma onesto, che forse non c’è più e che lui infatti negli ultimi anni faceva fatica a riconoscere. Prima star del pallone, recordman del Real Madrid, di cui è stato idolo da calciatore, allenatore e presidente. Nel suo palmares un’unica macchia: non aver mai giocato un Mondiale, nonostante abbia difeso le nazionali di Argentina, Colombia e Spagna.
Nato a Buenos Aires il 4 Luglio del 1926 da una famiglia di immigranti (nonni materni franco-irlandesi, nonni paterni italiani di Capri), esordi nel River Plate il 15 Luglio del 1945. Dopo un anno in prestito all’Huracán (25 gare e 10 reti), di affermò nel club “Millonario” segnando 59 reti (capocannoniere nel 1947) in due stagioni e mezza. A metà del 1949, però, uno sciopero dei calciatori argentini lo portò ad emigrare in Colombia, dove in tre anni e mezzo coi Millonarios de Bogotá realizzò 90 reti in campionato (capocannoniere nel 1951 e ’52).
Fu nelle prime settimane del 1953 quando lo cercò il Real Madrid, che pochi mesi dopo raggiunse un accordo coi Millonarios per acquistarlo. Il River Plate, però, aveva già firmato un contratto per vendere il calciatore al Barcellona, così che per dirimere la questione la Federazione Spagnola decise che avrebbe giocato ad anni alterni con l’uno e con l’altro club. Il Barcellona (con cui Di Stéfano, intanto, aveva già giocato delle amichevoli pre-campionato), alla fine, decise di rinunciare, vendendo la sua quota ai rivali. Un accordò che cambiò il corso della storia del calcio mondiale.
Nelle sue 11 stagioni come madridista, infatti, Alfredo Di Stéfano segnò 307 reti (solo Raúl ha fatto meglio, giocando però cinque anni in più) in 396 partite, vinse 8 volte la Liga spagnola (di cui fu 5 volte capocannoniere) e 5 la Coppa dei Campioni (2 volte capocannoniere). Pallone d’Oro nel 1957 e nel 1959 (e secondo classificato nel 1956, la prima edizione), il suo Madrid è stata una delle più forti squadre di sempre, con Gento, Rial, Puskas, Kopa, Zárraga, Santiesteban, Santamaría, Del Sol. Recordman di gol nella vecchia Coppa Campioni, i suoi 49 centri han retto fino all’avvento della nuova Champions League ed oggi è all’8º posto storico. Prima di ritirarsi, militò per due stagioni nel RCD Español (oggi Espanyol), dal 1964 al 1966.
Nei suoi 21 anni da professionista, difese – come detto – le nazionali di Argentina (6 reti in 10 gare e vittoria della Copa América del 1947), Colombia (4 presente e nessun gol) e Spagna (23 reti in 31 gare). Non prese parte ai Mondiali del ’50 e del ’54 perché l’Argentina non vi partecipò; già ottenuto il passaporto spagnolo, la “Roja” non si qualificò all’edizione del ’58, mentre nel ’62 non poté giocare a causa di un infortunio.
Soprannominato “La Saeta Rubia” (“La Saetta Bionda”) per la sua velocità, era un calciatore completo, abile con entrambi e piedi ma anche di testa, potente e tecnico, intelligente tanto da potersi giostrare su tutto il fronte offensivo, sia come mezza punta che come centravanti.
Appena appesi gli scarpini al chiodo, iniziò subito ad allenare, guidando l’Elche durante la seconda metà della stagione 1967/68. La prima grande occasione glie la diede il Boca Juniors, con cui vinse campionato e coppa nel ’69, per poi tornare in Europa e guidare il Valencia (1970-‘74) e condurlo al titolo nazionale del 1971. Passò gli Anni Settanta a fare esperienza con lo Sporting Lisbona, il Rayo Vallecano, il Castellón, di nuovo il Valencia (con cui vinse la Coppa delle Coppe nel 1980) e River Plate (campione d’Argentina nel 1981) per poter finalmente coronare il suo sogno di dirigere il Real Madrid: due anni sfortunati in cui raccolse tanti secondi posti ma nessuna vittoria.
A lui, però, il merito di aver dato vita alla famosa “Quinta del Buitre”, quella generazione di fenomeni sorti dalla cantera blanca che fece storia nelle annate successive. Si ritirò nel 1991, dopo aver guidato ancora Boca Juniors (nel 1985), Valencia (’86-’88) e lo stesso Real Madrid per metà stagione.
Nell’ultimo quarto di secolo della sua vita si stabilì nella capitale spagnola e dal 2000 (cioè dall’avvento di Florentino Pérez al comando della “Casa Blanca”) era presidente onorario del Real Madrid. È stato lui l’incaricato di dare il benvenuto ai tanti “galácticos” sfilati per lo “Stadio Santiago Bernábeu” negli ultimi quindici anni, da Figo a Zidane, da Beckham a Ronaldo, da Owen a Kaká e Cristiano Ronaldo e Bale. Nel 2006 gli fu intitolato il nuovo stadio del Real Madrid Castilla (la squadra B, appena retrocessa in Segunda División B e affidata a Zidane), così come da lui prese il nome l’aereo ufficiale del club, chiamato “La Saeta”.
A Madrid, dove di campioni ne hanno visti passare a bizzeffe, non discutono che sia stato il miglior calciatore a vestire la “camiseta blanca”, uomo simbolo del club insieme a Santiago Bernábeu, capace di incarnare i valori del club, la sua eleganza e la sua nobiltà più di chiunque altro.
Mario Cipriano