Apprezzato solo dalle donne, questo presunto bomber argentino si ritrovò nella Roma di Zeman nel 1998. Molti errori, zero gol e pure una denuncia per Passaportopoli…
Il tempismo non è stato mai il suo forte, non solo in area di rigore. E se quello è imperdonabile, per l’aspetto anagrafico dobbiamo di certo ammettere che non è stato baciato dalla fortuna. Se avesse avuto vent’anni ai giorni nostri di certo lavorerebbe in Tv, nei reality o in qualche fiction di infimo livello, guadagnando una barca di soldi senza saper fare nulla. Tutti sanno che non occorre alcuna attitudine, anzi soltanto una: la bellezza! E l’argentino Bartelt da giovane ne aveva in abbondanza, tanto che in Sudamerica era soprannominato “Il Bello”.
Le ragazzine stravedevano per lui; occhio languido, capelli biondi e fisico scolpito. E proprio per questo era anche testardo, convinto più di tutti di essere un attaccante velocissimo e prolifico. A dirla tutta il primo aggettivo era corretto, sul secondo meglio stendere un velo pietoso… Narcisista lo era davvero, visto che non si scoraggiava mai e dopo un fallimento riprovava nuovamente con presunzione e spirito garibaldino. In Italia arrivò presto, non aveva ancora compiuto venticinque anni: i tifosi della Roma stanno ancora imprecando…
Gustavo Javier Bartelt era nato a Buenos Aires nel settembre del 1974 ed era diventato attaccante nelle giovanili del Velez Sarsfield. I primi gol, quelli che poi sono il pane per un bomber, arrivarono però in Svizzera (nella sua primissima esperienza all’estero) con l’All Boys, in serie B. La vera esplosione al rientro in Argentina con la maglia del Lanus; qualcosa di mistico, visto che era la cittadina che aveva dato i natali al grande Diego Armando Maradona.
L’affascinante cecchino Bartelt fu così troppo prematuramente accostato ai grandi centravanti argentini del passato e gli uomini mercato lo pomparono a dovere; fu la Roma del presidente Sensi ad acquistarlo nell’estate del 1998. Si parlò di 16-18 miliardi al Lanus e di un ingaggio altrettanto faraonico per il ragazzo: del resto erano gli anni d’oro del football italiano. L’allenatore gialloroso era Zeman, da sempre un fautore del gioco offensivo; per Bartelt un ulteriore motivo per essere ottimisti e fiduciosi.
Nella rosa della Roma, per quanto riguarda l’attacco, la stella emergente era il pupillo di casa Francesco Totti, mentre gli altri elementi di spessore erano il brasiliano Paulo Sergio, il napoletano Gautieri e il milanese Marco Delvecchio. Fu proprio quest’ultimo a rompere le uova nel paniere di Bartelt, visto che gli soffiò il posto di titolare dopo pochi mesi. L’argentino debuttò convinto dei propri mezzi il 12 settembre 1998 (Roma-Salernitana 3-1) ma sprecò subito diverse palle gol. Certo, per Bartelt l’impatto con le difese italiane fu traumatico e difficile, ma in fondo ci sono passati in molti. E Zeman gli concesse le prime dieci giornate di campionato per provare a sbloccarsi, ma fu inutile: le apparizioni di Bartelt erano alquanto imbarazzanti, del bomber tanto decantato nemmeno l’ombra.
Cominciò a sedersi in panchina ed ebbe un unico sussulto positivo alla quinta giornata quando, entrando negli ultimi dieci minuti, si riscoprì uomo assist nella rocambolesca vittoria in rimonta con la Fiorentina (2-1). Poi il buio assoluto, altre performance negative e un bilancio eloquente: dopo le 34 giornate della nostra serie A Bartelt vantava 12 presenze e nessun gol! La Roma chiuse con un ragguardevole quinto posto in classifica, e Delvecchio chiuse con 18 gol, suo miglior bottino di sempre. Bartelt a quel punto non era soltanto un bidone, ma addirittura un peso.
Il suo contratto, difatti, non dava molte scelte alla Roma: nessuno ormai credeva in lui ma c’era la necessità di sbolognarlo o cederlo a qualcuno per recuperare parte dei quattrini investiti. Si cercò di scuoterlo mandandolo in prestito in altri campionati, ma anche questo esperimento fallì miseramente. Sia in Inghilterra con l’Aston Villa che in Spagna con la matricola Rayo Vallecano le uniche compagne fidate di Bartelt furono le panchine, visto che l’argentino ne scaldò parecchie. Un fiasco dopo l’altro e, alla fine, il diavolo volle addirittura esagerare e rigirare il coltello nella piaga. Scoppiò il famigerato scandalo denominato “Passaportopoli” e il suo nome finì nel calderone di quelli che avevano ottenuto la cittadinanza italiana in maniera poco chiara.
Bartelt si professò sempre innocente ma si beccò diversi mesi di squalifica; un’altra mazzata, forse quella definitiva, per la sua già zoppicante carriera. E quando tempo dopo fu fatta giustizia, con l’assoluzione piena nei suoi confronti, non rimanevano molti motivi di soddisfazione, a parte quelli morali. Contratti come quello con la Roma non sarebbero mai più arrivati e Bartelt era il primo ad esserne consapevole. Tornò nella sua Argentina e chiuse la sua parabola calcistica di nuovo in Svizzera, dove la ragazzine (ormai diventate donne) continuavano a cadere ai suoi piedi. Certo che se la bellezza fosse un requisito per segnare dei gol, Bartelt sarebbe capocannoniere a vita…
Lucio Iaccarino