Portiere granitico e concreto che contribuì ai primi trionfi internazionali del Barcellona. Professionista esemplare, schivò critiche ingiuste: il tempo gli ha dato ragione

Zubizarreta

Andoni Zubizarreta(foto iljournal.it)

La sua fisionomia e il volto scavato sembravano quelli di un monarca dell’Ottocento: imponente, autoritario e sicuro del fatto suo. E come a volte capita anche ai re, ha dovuto fronteggiare critiche e momenti difficili che rischiavano di farlo vacillare e capitolare. La vita sportiva del portiere spagnolo Zubizarreta è caratterizzata da epiche imprese e qualche scivolone: lui non si è mai depresso dopo un errore, ben consapevole che nella storia di tutti i numeri 1 le “sbandate” arrivano per chiunque. Ha sempre reagito e con risultati eccezionali; è tuttora uno dei portieri spagnoli più titolati e vincenti di sempre.

Tecnicamente completo, forse poco elegante ma concreto e affidabile, Zubizarreta si faceva apprezzare anche per la professionalità e la correttezza. Era un mostro di continuità; fra i pochissimi calciatori ad aver superato la soglia delle mille presenze ufficiali in partite “vere”. Mai un infortunio serio o uno stop prolungato, difficile persino ricordare un raffreddore o un’influenza a debilitarlo. Ed è altrettanto raro trovare nella sua carriera una polemica o un’intemperanza, con compagni o avversari; esempio unico di correttezza e lealtà…

Andoni Zubizarreta nacque a Vitoria, nei Paesi Baschi, nell’ottobre del 1961; dopo il settore giovanile nell’Alaves debuttò nella Liga Spagnola nel 1981 indossando la mistica casacca dell’Athletic Bilbao. Il giovane Zubizarreta si inserì alla perfezione nel club basco: orgoglio, disciplina e attaccamento alle proprie origini erano e sono le fondamenta di tutti i componenti di questa squadra. Javier Clemente fu il primo a credere in lui: il numero 1 guadagnò i galloni di titolare a suon di prodezze e parate superlative. E oltre ai guizzi fulminei che gli consentivano interventi plastici, “Zubi” si faceva preferire ai suoi colleghi per un innato senso della posizione.

Guidava il reparto difensivo con saggezza e, nonostante l’età, non perdeva mai la calma e la lucidità. Vinse molto già ai tempi di Bilbao, conquistando due campionati (1983 e 1984), una Coppa del Re e una Supercoppa. Nessuno poteva ignorare la sua bravura, neanche la nazionale spagnola del Ct Munoz: Zubizarreta debuttò con la Spagna nel 1985 e l’anno dopo era lui il titolare delle Furie Rosse nella fase finale del mondiale messicano. In cinque gare subì soltanto quattro reti, la Spagna arrivò fino ai quarti dove fu eliminata dal Belgio ai rigori. Il grande rimpianto di Andoni fu proprio quello di non essere riuscito a parare neppure un tiro dei belgi dagli undici metri.

Il picco della sua carriera agonistica, comunque, coincise proprio con la fine degli anni ottanta: nel 1987 vinse sia il premio Zamora (miglior portiere) che il Pallone d’oro spagnolo. E soprattutto, subito dopo la Coppa del mondo 1986, arrivò il trasferimento al Barcellona. Zubizarreta fu uno dei punti fermi dello squadrone di Johan Cruijff, il rivoluzionario tecnico olandese che aveva messo radici proprio in Catalogna. Vincere e divertire erano i due comandamenti di quel Barcellona, che conquistò i confini nazionali ed internazionali. Dal 1986 al 1994 Zubizarreta conquistò 4 campionati, due Coppe del Re e due Supercoppe nazionali. In Europa si ritrovò spesso a duellare con le migliori squadre italiane; gli portava decisamente bene, in particolare, sfidare la Sampdoria nelle finali.


Infatti, proprio contro la squadra di Vialli e Mancini conquistò due trionfi di grande fascino: la Coppa Coppe 1989 a Basilea (Barcellona-Samp 2-0) e la prima storica Coppa Campioni dei catalani nel 1992 a Londra (Barcellona-Samp 1-0 con il bolide di Koeman). Oltre ai tiri e alle conclusioni degli attaccanti avversari, Zubizarreta dovette successivamente parare anche le critiche di una parte della tifoseria e della stampa. Qualche errore venne ingigantito, spesso si prese colpe e responsabilità non sue. Di sicuro il modulo vincente ma superoffensivo di Cruijff finì per sfavorire soprattutto lui; la difesa troppo alta spesso mandava in crisi il povero Andoni. Ma restò sempre un portiere efficiente e solido, ed era anche un inossidabile uomo spogliatoio: era lui il collante fra l’allenatore e le “teste calde” della squadra Romario e Stoichkov.

Con la nazionale spagnola non riuscì a vincere nulla, ma ha disputato ben quattro fasi finali dei mondiali. In generale in quegli anni la Spagna aveva ottimi elementi ed un discreto impianto di gioco, ma quando arrivavano gli appuntamenti importanti c’era sempre un imprevisto, una mancanza o un episodio nefasto a frenare gli iberici. Per Zubizarreta (che già da tempo era capitano della squadra) la volta buona sembrava essere Usa ’94 ma le Furie Rosse furono sconfitte ai quarti di finale proprio dall’Italia di Roberto Baggio, che beffò Andoni nei minuti finali con il gol del definitivo 2-1.

E pensare che gli spagnoli stavano quasi dominando la partita, sbagliando diverse limpide occasioni. Zubizarreta con la Spagna ha collezionato in tutto ben 126 presenze ufficiali, ed è al terzo posto nella speciale classifica delle gare disputate. Il suo ultimo club fu invece il Valencia, con cui giocò quattro stagioni esibendo ancora un rendimento accettabile. Chiusa l’attività agonistica, Andoni Zubizarreta si è successivamente fatto apprezzare come opinionista e commentatore delle tv spagnole; poi gli amici di Barcellona lo hanno convinto ad accettare un delicato incarico e rimettersi in pista. Dall’estate del 2010 è il direttore sportivo del club catalano.

 

Lucio Iaccarino