“El Trinche” Carlovich era un talento unico. Chi lo ha visto giocare, assicura che era più abile di Maradona col pallone tra i piedi.

"El Trinche" Carlovich  (foto www.elgrafico.com.ar)

“El Trinche” Carlovich (foto www.elgrafico.com.ar)

Tutti abbiamo avuto almeno un amico d’infanzia o un compagno di scuola dal talento calcistico enorme, di cui da bambini si diceva che avrebbe fatto strada, che sarebbe arrivato a giocare tra i grandi. Quasi sempre, però, questi ragazzi si fermano presto, frenati dagli elogi eccessivi, dall’assenza di opportunità di mettersi in mostra, da un infortunio, dalla mancanza di determinazione e professionalità. Perchè per ogni Lionel che diventa Messi, ci sono centinaia di Lionel sconosciuti che non raggiungono il top. Ragazzi che si fermano a metà, forti abbastanza per diventare professionisti, ma non professionisti abbastanza per diventare forti.

Quando, nel 1993, Diego Armando Maradona andò a giocare con il Newell’s Old Boys, un giornalista gli confessò di essere onorato che “il miglior calciatore” giocasse in una squadra di Rosario, al che Diego rispose «Il migliore già ha giocato a Rosario ed è un tal Carlovich».
La sua leggenda è un luogo comune a Rosario – la città più devota al “fútbol” d’Argentina e, forse, per estensione, del mondo –, forma parte dell’iconografia della città. César Luís Menotti diceva che sembrava che fosse il pallone a condurre Carlovich; un pallone intelligente, che godeva facendo cose artistiche ed utilizzava un calciatore come mezzo fisico per dargli forma. Era un giocatore lirico, di quelli che oggi non si trovano e si convertì nel simbolo di un calcio romantico che non esiste più.

Il romanticismo e la mitologia della storia di Tomás Felipe Carlovich si basano sulla mancanza di documentazione video che testimoni le sue gesta e la sua abilità. Non esistono registrazioni di un’epoca di profonda crisi del calcio e della società argentina (dittature militari, colpi di stato, desaparecidos, etc.), che non riuscì a permettersi di preservare testimonianza delle partite delle serie minori. Ma a parlare del “Trinche” Carlovich è la gente di Rosario e dell’Argentina intera che han vissuto quel periodo tra gli Anni Sessanta e gli Ottanta e racconta meraviglie di un calciatore unico, più bravo di Maradona, di Messi o di chiunque altro, che giocava e viveva per divertire e per divertirsi.

Tomás Felipe Carlovich  (foto www.taringa.net)

Tomás Felipe Carlovich (foto www.taringa.net)

Le origini della sua vicenda sono anche quelle tipicamente argentine e vengono dalla crisi del ’29, il crollo di Wall Street e la Grande Depressione, che diede origine ad un flusso migratorio enorme dall’Europa all’Argentina: italiani, spagnoli, tedeschi ed europei dell’est fecero le valigie con direzione sud. Dalla Jugoslavia giunse un lavoratore che in Argentina avrebbe avuto sette figli, l’ultimo dei quali (nato il 20 Aprile del 1949) aveva un dono speciale, un talento calcistico e “rosarino”.

Lo stile rosarino fu sempre uno stile di dribbling, abilità, tecnica, più lento, per dar spazio all’estetica. Se queste qualità possono essere associate al calcio argentino in generale, Rosario – che è un luogo esageratamente argentino – le porta alla loro espressione estrema. Carlovich era la magnificazione di questo modo di intendere il calcio, capace di fare un tunnel e poi fermarsi per attendere l’avversario tornare e rifargli il tunnel, godendo degli “oooh…” del pubblico e della rabbia dei rivali.

Tomás Felipe Carlovich, “El Trinche” (neanche lui conosce motivo e significato di questo nomignolo, attribuitogli da un vicino di casa quando era bambino), debuttò nel 1969 nel Rosario Central, trovando l’opposizione del sergente di ferro Miguel Ignomiriello, allenatore duro che tardò poco a mandar via quel ragazzo tanto indisciplinato. Dopo brevi esperienze nel Flandria di Jáuregui e nell’Independiente Rivadavia di Mendoza, si affermò nel CC – come è chiamato il Central Córdoba, la terza squadra di Rosario – in Primera B Nacional (la seconda divisione argentina), stupendo spettatori, allenatori, compagni e scouts per il suo talento sconfinato.


La sua evoluzione era costantemente frenata dalla sua incapacità di prendere sul serio la carriera calcistica, già che giocava solo ed esclusivamente per piacere, senza dedicare attenzione agli allenamenti, alle tattiche ed in generale alle necessità di un calcio argentino che in quel periodo si stava irrigidendo ed iniziava a chiedere ai calciatori di essere atleti veri. Di fatto, in prima divisione arrivò a giocarci, contrattato di nuovo dal Rosario Central nel 1976, ma durò solo due partite, finché un giorno, con la squadra pronta per partire per una trasferta, disse che aveva dimenticato un borsone nella sede del club: entrò dall’ingresso principale, uscì da quello posteriore e non si fece rivedere mai più…  Negli anni successivi distillò qualità a volontà nel Colón Santa Fé, di nuovo nel CC, nel Deportivo Maipú, prima di tornare ancora e definitivamente al Central Córdoba nel 1980, chiudendo la carriera sei anni dopo.

Giocava col nº 5 sulle spalle, definito dai più come un mix tra l’eleganza ed il fisico (183 cm di altezza) di Fernando Redondo e la visione di gioco di Juan Román Riquelme. Apparentemente lento, era rapido di testa, capace di vedere la partita e le sue necessità con quel mezzo secondo di anticipo che fa la differenza. Dalla tecnica eccezionale, era dedito al culto del tunnel non come risorsa in funzione del gioco ma come gesto tecnico esclusivamente estetico.

Il suo momento di gloria lo visse nel 1974, quando, alla vigilia del Mondiale di Germania, la nazionale argentina affrontò una selezione di calciatori rosarini. C’erano le principali stelle del Rosario Central e del Newell’s Old Boys, più un unico rappresentante del CC: Carlovich. Vinsero i rosarini 3-1 e “El Trinche” fu la stella. Césari Luís Menotti, rosarino anche lui e CT della nazionale dal 1974 (che prese in mano dopo che l’Argentina maltrattata dai rosarini venne maltrattata anche dall’Olanda di Crujff con un brutale 4-0 ai Mondiali) al 1982 (vincendo, nel mezzo, il “Mondiale della Vergogna” del 1978), afferma ancora oggi che, pur giocando in seconda divisione, volle convocarlo per uno stage, ma Carlovich rifiutò gentilmente perché doveva andare a pescare.

Esta noche juega el Trinche  (immagine tratta da Twitter)

Esta noche juega el Trinche (immagine tratta da Twitter)

Ed eran la pesca, i bar, la notte rosarina e le donne i vizi che impedirono a Carlovich di arrivare in alto, come successe in quegli anni al “Mágico” González (altro che Maradona stesso diceva esser più forte di sé stesso) ed ai tanti talenti di un calcio che ancora muoveva più passione che soldi.
Molti gli episodi incredibili che la gente comune e meno comune (José Pekerman, oggi CT della Colombia, lo adorava, così come in una intervista di qualche anno fa a Canal Plus España, ne parlavan meraviglie anche Valdano ed il già citato Menotti) racconta, ingigantendo il mito e sopperendo alla mancanza di testimonianze materiali. Come quando dimenticò il documento di identità – necessario tutt’oggi il giorno della partita per giocare nelle serie minori – ed il presidente della squadra avversaria, invece di sfruttare l’occasione dell’assenza del miglior giocatore della squadra rivale, fece da garante per farlo giocare perché «con Carlovich il prezzo del biglietto è uno, senza Carlovich è un altro». O quell’altra volta che venne espulso e, già negli spogliatoi, l’arbitro andò a chiedergli se per favore poteva tornare a giocare perché gli spettatori sugli spalti stavan protestando. Un episodio simile si verificò con Pelé e un’altra voce – che lo stesso Carlovich non smentisce – vuole che il suo trasferimento dal Central Córdoba ai New York Cosmos fosse praticamente fatto, ma venne mandato all’aria da ‘O Rey in persona, intimorito dall’idea di non essere l’unico gallo nel pollaio newyorkese.

Tra mito e realtà, le gesta del “Trinche” Carlovich restano vive nella memoria del calcio argentino nonostante sian passati ormai trent’anni dal suo ritiro. E il calcio è cambiato. Ve lo immaginate Messi a centrocampo che, in assenza di pressione avversaria, si ferma, si siede sul pallone e chiede ai rivali se hanno ancora voglia di giocare? Ancora oggi in molti (Carlovich in testa) si commuovono quando sentono un annuncio antico che era un ritornello che introduceva una cerimonia: “Esta noche juega el Trinche”!
L’unico video in cui si vedon pochissimi secondi del “Trinche” è venuto a galla due anni, ceduto al regista cinematografico Carlo Galettini da un anonimo proprietario di un documento storico che probabilmente ignorava il valore del tesoro che aveva tra le mani. Qui di seguito il video, estratto dal film “Se acabó el curro”:

Mario Cipriano