Lo Stadio “Nacional” di Santiago servì da centro di detenzione e tortura durante la dittatura di Pinochet.
La Copa América 2015 si è conclusa. I padroni di casa del Cile hanno battuto l’Argentina vice-campione del mondo nello Stadio “Nacional” di Santiago del Cile, una struttura le cui mura conservano innumerevoli ricordi, ricordi di gesta calcistiche ma anche ricordi tristi e tragici di una delle vicende più scabrose degli ultimi 70 anni.
Il Cile all’inizio degli Anni Settanta stava vivendo l’esperimento socialista forse meglio riuscito della Storia dell’umanità. L’11 Settembre del 1973, però, un colpo di Stato appoggiato dagli Stati Uniti d’America portò al governo Augusto Pinochet, dittatore fino al 1990 in un’America Latina in cui le dittature in quegli anni erano la normalità. Migliaia e migliaia di persone furono uccise, torturate, umiliate o anche solo arrestate e costrette all’esilio, spesso senza ragione, per un legame o un sospetto di legame anche solo lontano con l’anteriore gestione guidata da Salvador Allende.
Gli stadi di calcio risultarono, come in tutto il continente, strutture privilegiate per fare da centri di detenzione, spazi ampli e silenziosi dove i militari potevano fare il loro sporco lavoro comodamente. E lo Stadio “Nacional” fu il centro di detenzione e tortura più grande del Cile. Con i prigionieri all’interno della struttura, dopo la dittatura riprese a ruotare il pallone e lí si disputarono, ad esempio, le finali di Copa Libertadores del 1974, 1975, 1976, 1981, 1982 e 1987, con gli spalti pieni di gente incosciente (o forse no . . .) del fatto che in qualche parte lí sotto erano stipati, stanchi dalla fame e dalle torture, decine di prigionieri politici.
I detenuti che passarono per lo Stadio “Nacional” in quegli anni oscillano tra i 7.000 ed i 40.000, a seconda delle fonti; le esecuzioni vanno dalle 46 alle 250. Considerati “prigionieri di guerra” nonostante non ci fosse stata nessuna guerra, i malcapitati dello Stadio “Nacional” passarono anni di inferno mentre fuori la vita ricominciava per tutti come niente fosse, nell’indifferenza della comunità internazionale.
Tempo fa, uno degli ingressi dello stadio – il 27 – è stato dedicato all’infausto evento, con tanto di museo all’interno, con la tribuna a cui da accesso lasciata intatta, la struttura originale immutata e le incisioni realizzate dai prigionieri durante la detenzione mantenute come ricordo di un pezzo di Storia del Novecento poco conosciuto in Europa ma non per questo meno tragico e crudele. Oggi campeggia anche una scritta che dice: “Un pueblo sin memoria es un pueblo sin futuro”. Ma la verità è che il Cile è uno di quei paesi che con la loro memoria, con il loro passato, non han fatto mai veramente i conti e ancora oggi ne paga le conseguenze a livello sociale e soprattutto a livello di mentalità.
Un quarto di secolo dopo la fine della dittatura e a quasi dieci anni dalla morte del dittatore Pinochet – scomparso a fine 2006, a 91 anni ed in libertà nonostante la lista infinita di crimini di cui si era macchiato – si continua a giocare al calcio nello Stadio “Nacional”. Già nel 1991 si disputò una Copa America in Cile, vinta dall’Argentina di Simeone, Caniggia e Batistuta. Anche allora gli “albiceleste” erano vice-campioni del mondo un anno dopo aver perso la Finale iridata per 1-0 contro la Germania…
Mario Cipriano