Il derby d’Italia è una gara che trascende lo sport. Juve e Inter sono fatte per essere avversarie, tanto diversa quanto inscindibili. Storia e mitopoiesi di una sfida che non sarà mai come le altre
“A me non piace la prostituzione intellettuale, mi piace l’onestà intellettuale. In questi giorni c’è stata una grandissima manipolazione intellettuale, grandissima. Un grandissimo lavoro organizzato per manipolare l’opinione pubblica […]. Negli ultimi due giorni […] non si è parlato di una Juve che ha vinto tanti punti, ma tanti, con errori arbitrali. Quando si dice ‘Ranieri e Spalletti al fianco l’uno dell’altro’, io sono al fianco di Zenga, di Prandelli, di Del Neri“
José Mário dos Santos Mourinho Félix, portoghese di Setùbal, era all’Inter da un anno e mezzo, ma aveva già colto la quintessenza dell’interismo: una grande “piccola”, una potente in continua opposizione al potere. Potere che in quel momento era – è, e forse è sempre stato – rappresentato dalla Juventus Football Club. Almeno, così è nella mentalità interista.
La spinta che affianca gli interisti a Palermo, Fiorentina e Sampdoria è la stessa che li allontana dalle altre due grandi “strisciate” del calcio italiano. L’Inter si sente contro “perché Zenga ha perso tre punti con la Juve – dice Mourinho –, Del Neri perso tre punti con la Juve, Prandelli ha perso tre punti con la Juve. E sono anche al fianco di Marino e di Novellino, perché il prossimo fine settimana è meglio non giocare. Fossi in loro due giocherei con la seconda squadra perché…chissà, qualche cartellino, un giocatore stanco, un giocatore infortunato… gioco con la primavera”
Un rimando – inconscio, ma non per questo meno suggestivo – all’episodio che coinvolse Juve e Inter quarantanove anni prima. Il 16 aprile 1961 la Juve di Boniperti e Sivori affronta a Torino la prima Inter di Herrera, a 4 punti di distanza. Lo stadio aveva largamente superato la propria capienza, e molti tifosi finirono per sedersi a bordo campo. L’arbitro Gambarotta decide di giocare comunque, salvo interrompere la gara al 31esimo minuto. Come da regolamento, viene assegnata vittoria a tavolino per l’Inter, che nelle giornate successive riesce a recuperare gli altri 2 punti sulla Juve.
Ma il 3 giugno, alla vigilia dell’ultima di campionato, la CAF decide di far rigiocare la gara. Una decisione presa sotto il patrocinio di Umberto Agnelli, allora presidente della Juventus e (soprattutto) della FIGC. Scossi dalla notizia, gli interisti persero 2-0 a Catania (“Clamoroso al Cibali”), e ogni ambizione di scudetto. Alla ripetizione i nerazzurri decisero di schierare la formazione primavera, in segno di protesta. Finì 9-1 per la Juve.
Nella mitopoiesi dello scontro Juve-Inter, l’episodio del ’61 è stato l’equivalente del Big Bang. Il dualismo tra la due squadre, tuttavia, è qualcosa di congenito, irrinunciabile. La Juventus fu fondata da liceali che giocavano in casacca rosa e cravattino, gli interisti erano dissidenti provenienti dal Milan – la squadra dei diavoli; l’Inter è nata come “sorella del mondo”, la Juventus è diventata simbolo dell’italianità; se la Juve è una vecchia signora, ambita da tutti, l’Inter è una ragazza focosa, pronta ad innamorarsi del guru esotico di turno. Gli interisti sono Bauscia, borghesi, gli Juventini sono l’aristocrazia capace di dominare il mondo pallonaro secondo ‘900.
Juventus e Internazionale sono due poli opposti di un magnete indivisibile: fondamentali l’uno all’altro, ma diversi in tutto. Eppure le due squadre si cercano quasi fatalmente. Che lottino per gli stessi obiettivi, o si misurino da lontano, il riferimento all’Altro è sempre presente. Nelle vittorie dell’una a dispetto dell’altra, ma anche nella delegittimazione delle vittorie dell’una contro l’altra.
Riguardo al ’61, c’è chi parla di campionato rubato e chi di decisione ininfluente, lo stesso per il ’98 (Ronaldo-Iuliano) e per le gare precedenti al 5 maggio 2002. Se per gli interisti Calciopoli è la madre di tutti i mali, gli juventini ribattono che quella squadra avrebbe vinto comunque; per ogni interista che fa dietrologia sulla Coppa dei Campioni del ’96, c’è uno juventino che elenca gli episodi a favore dell’Inter nel Triplete del 2010, e così via.
“Prescritti”, “rubentini”, “cartonati”, “massoni”; Guido Rossi e Paparesta, Recoba e il dott. Agricola: nel corso degli anni interisti e juventini hanno collezionato decine di epiteti, e hanno messo da parte una cartucciera di scandali da tirar fuori al momento giusto.
Con l’uscita di scena di Moggi e Moratti, lo scontro dialettico si è attenuato, ma non estinto. Gli ultimi pungoli sono partiti dal giovane Andrea Agnelli, il quale – più che attaccare i nerazzurri – è parso ammiccare alla tifoseria. Un’inflazionata battuta da bar (“La capitale dell’Indonesia è Jakartone”) e una sapida stilettata a Moratti (“Credo che vada a lui riconosciuto un grandissimo amore per la sua Inter, e il grandissimo amore può portare a compiere alcune follie come accettare uno scudetto che non ha vinto”), che ha ricevuto una velenosa risposta da parte dell’Inter.
“F.C. Internazionale prende atto dell’ennesimo tentativo del Presidente Agnelli di mistificare i fatti e di cambiare il corso della storia. Purtroppo per lui e per tutto il calcio italiano il 2006 è stato un anno disastroso, in cui lo scudetto è stato assegnato legittimamente all’Inter dalla FIGC, e la Juventus è stata retrocessa in serie B insieme alla sua reputazione. Questi sono i fatti. Che non permetteremo a nessuno di alterare né di dimenticare”
Che Andrea Agnelli sappia inasprire il dualismo Juve-Inter, è naturale: gli Agnelli controllano la Juve da quasi un secolo. Che l’abbia capito anche Erick Thohir, indonesiano di Giacarta, è francamente sorprendente.
Di Angelo A. Pisani (angeloapisani)