Dopo il coma, il primo cenno di vita per un gol biancoceleste.

Chiara Insidioso Monda con la maglia della Lazio

Chiara Insidioso Monda con la maglia della Lazio

La magia di un gol racchiusa in un impercettibile movimento della bocca, una piccola smorfia dal potere enorme: “Quel giorno ho capito che mia figlia era viva”. La storia di Chiara Insidioso Monda non è una favola a lieto fine: il padre, Maurizio, l’ha raccontata al Corriere della Sera nella giornata contro la violenza sulle donne. Perché la figlia, il 3 febbraio 2014, quando aveva 19 anni, fu selvaggiamente picchiata dal fidanzato Maurizio Falcioni nello scantinato dove vivevano a Casal Bernocchi, frazione di Roma. L’uomo le spaccò la testa prendendola ripetutamente a calci. E lei oggi trascorre le sue giornate sul letto dell’istituto di riabilitazione Santa Lucia, in uno stato di minima coscienza.

È lì che il padre di Chiara si confida, mentre – come è raccontato nel reportage – “ragazzi in sedia a rotelle prendono aria con la Gazzetta dello Sport aperta sulle ginocchia”. È una storia fatta di rabbia, perché i 20 anni di pena, poi ridotti a 16, inflitti a “quel bastardo” non servono certo a ridare una vita vera, piena, a sua figlia. Ma è una storia che ha dentro di sé almeno un piccolo momento magico, che risale al 16 marzo. I medici avevano già stabilito che la ragazza non fosse più in coma: “Apre gli occhi, segue le voci dei familiari e sorride in alcune occasioni”.

Ma il padre, che per mesi aveva sperato che a quel punto morisse pur di non vederla più soffrire, se ne rende conto solo quel giorno: “Me ne stavo seduto al bordo del suo letto, qui, in ospedale. Chiara aveva la testa reclinata sulla spalla, fissava il vuoto, come ora. Poi a un certo punto le ho messo l’iPad sotto la faccia, ho aperto il sito di Gazzetta e ho schiacciato play. Torino-Lazio. Primo tempo 0-0. Poi, a venti minuti dalla fine, Anderson tira in porta e la butta dentro. E Chiara, che manco l’avevo capito che stesse guardando lo schermo, dopo avere ‘visto’ il gol mi fa una smorfia, contenta. Come a dirmi: Ahó, avemo segnato, a papà”.

Prima di essere ridotta a poco più che un vegetale, Chiara era una ragazza con tanti amori, oltre a quello maledetto del suo fidanzato: il cinema, la pizza ai funghi, il suo cane, Laura Pausini e la Lazio. Sì, soprattutto la Lazio. “In curva Nord la conoscevano tutti – racconta il padre -. Gli ultrà, i tifosi. Quando arrivavamo, prima delle partite, era tutto un Chiara, Chiara vieni qui, Chiara. La domenica, i sabati, anche in trasferta. Andavamo con i pullman. A Napoli, Torino, Genova. Per questo negli ultimi mesi i tifosi l’hanno aiutata così tanto, con le iniziative per raccogliere denaro. Perché Chiara era una di loro”.

Oggi, appese alle pareti della sua stanza d’ospedale, ci sono le figurine di Candreva, il suo calciatore preferito che è tornato al gol proprio domenica. “Con questa minima coscienza in cui si trova ora, ho iniziato a essere felice che mia figlia non sia morta. Perché Chiara capisce tutto ora. Anche se muove solo le dita. E con le dita comunica la sua gioia, i suoi desideri, la sua voglia di vivere. Ancora, di nuovo, nonostante tutto”.

Di recente il padre ha voluto farle “provare” la Nutella: “Appena ha sentito il gusto le si è illuminato il volto”. Un’altra piccola grande magia.