Campioni che non voglio appendere le scarpette al chiodo.
Quanto sono lontani i tempi di una volta, com’è cambiato il calcio. Quanto è sbiadito il ricordo di Michel Platini, uno che decise di appendere le scarpette al chiodo nel maggio 1987, quando salutò la Juventus e il calcio giocato a neanche 32 anni.
Oggi di smettere non se ne parla neanche, nessuno riesce ad abbandonare l’idea di correre dietro a quel pallone che ha regalato gioie uniche e irripetibili. Facciamo quache esempio di campioni evergreen, che giocano in faccia all’età.
La decisione di Ronaldinho (anni 36) di giocare un paio di partite nella Serie B peruviana con il Cienciano di Cuzco – seguita dall’annuncio di voler disputare un tempo per squadra nel derby del 22 giugno tra Alianza Lima e Universitario de Deportes – è solo l’ultima notizia in ordine di tempo riguardante nomi noti, o molto noti, incapaci di fermarsi.
C’è poi chi ha deciso di finire là dove è sempre stato, cioè in Serie A: da Paolo Maldini (ne aveva quasi 41, quando lasciò nel 2009) e Javier Zanetti (era a quota 40) fino ai casi odierni di Totti (a settembre saranno 40) e dei quasi 39enni Toni e Di Natale. Ma i casi particolari non finiscono qui.
Il brasiliano Rivaldo, nato nel 1972, ha impiegato 43 anni, cioè fino all’estate scorsa, per decidere “che cosa fare da grande”. Fino al 2010, in un modo nell’altro, prima in Grecia all’Olympiacos e poi in patria al San Paolo, aveva scelto club che non facessero ingiallire il ricordo di uno dei campioni del mondo del 2002. Poi il tracollo, tra l’Angola (col Kabuscorp) e di nuovo il Brasile, nel Sao Caetano e, fino al 2015, il Mogi Mirim (di cui era presidente) in Serie B. Il 14 luglio 2015 riuscì addirittura a giocare insieme al figlio Rivaldinho, oggi 21enne.