Una fine alla Buffalo Bill.
Lo spauracchio di tutti, o almeno di tutti quelli con un passato di gloria, è sempre quello: una fine alla Buffalo Bill. Eroe nazionale, cacciatore, soldato, esploratore, William Frederick Cody (più noto come Buffalo Bill) passò gli ultimi vent’anni – abbondanti – della sua vita in un circo, a interpretare se stesso, o meglio la caricatura di se stesso. Era la fine dell’Ottocento: ancora oggi quella china fa paura a molti, sportivi compresi. Fra loro, però, non cercate i dentoni di Ronaldinho. Lui in quel ruolo ci sguazza. Da settembre non trova una squadra vera, dopo le crepuscolari esperienze al Queretaro (Messico) e al Fluminense. Smettere? Mai. “Non mi passa per la testa, continua a piacermi giocare a calcio e mi sento in forma”, dice Dinho, fra un sorriso, una bandana, un pollice e mignolo alzato, una firma su un contratto.
Già, perché pur non trovando un ingaggio, Ronaldinho e il fratello procuratore hanno trovato modo di monetizzare comunque: scritture a gettone, amichevoli ed esibizioni, una “botta” e via. L’ultimo annuncio è quello dell’accordo col Cienciano, nobile decaduta (in B) del Perù. In principio fu il Fluminense, lasciato a settembre per le gare vere (dopo 9 apparizioni senza un gol e un assist), ritrovato a gennaio per una mini-tournée di esibizione in Florida.
In mezzo ci sono una amichevole show in Ecuador, e una in arrivo a Las Vegas, col Miami Fc di Adriano, l’Imperatore. La lampadina si è accesa col Flu: quelle due amichevoli in Usa erano probabilmente previste dal contratto precedente, quello da giocatore vero. Ronnie lo ha onorato, e ha visto che l’interesse per vederlo giocare era ancora “altino”.
Normale, il talento non si insegna e lui lo distribuisce ancora in fugaci lampi di genio. Il giocatore, del resto, è indiscutibile: ha vinto tutto, Mondiali e Pallone d’oro compresi, e avrebbe potuto vincere più a lungo, se la passione per il campo fosse stata pari a quella per la vita. Dopo la Florida arriva la chiamata del Barcellona, ma di Guayaquil, Ecuador.
Si parla di un contratto di 6 mesi, si ripiega su una gara, la presentazione della squadra col San Martin: 4-3, il brasiliano regala un assist giocando quasi da fermo e si ritrova a fare un autografo all’arbitro, sul cartellino giallo. E incassa: 200 mila dollari, dicono in Sudamerica. Non che in Ecuador navighino nell’oro: il bello è che ci guadagnano tutti. L’incasso al botteghino (41mila biglietti) supera il milione di euro, le maglie vendute col 91 di Dinho sono 4.000 (a 80 dollari l’una), e la “star” presenzia a una cena a pagamento (400 persone, 100 mila dollari totali). Aggiungeteci i diritti tv e avrete la dimensione dell’affare.
Negli Usa, dove il marketing regna, fiutano il business: ecco una nuova chiamata, per una gara amichevole che sarà il debutto di Adriano col Miami United Fc (quarta lega Usa). Ronaldinho rinforzerà il Las Vegas Fc (quinta serie): si giocherà il 14 maggio, nei cartelloni pubblicitari i due compaiono con la maglia del Brasile, sotto l’insegna della “città del peccato”. Contenuti sportivi ridotti al minimo. Poi toccherà al Perù, al Cienciano, a Cuzco: altro giro, altra corsa, altri 200 mila euro.
Una o due amichevoli, con compreso tour a Machu Picchu, su richiesta del giocatore. E potrebbe anche non essere finita. Le due grandi peruviane, la “U” e l’Alianza, stanno studiando un’amichevole in cui il brasiliano giocherebbe un tempo per squadra. Le vie del marketing sono infinite. Del resto Buffalo Bill di quel circo non era solo attrazione, ma anche impresario. Ospitò pure Toro Seduto, quello vero, e girò il mondo, Italia compresa.
Non poniamo limiti agli intrattenitori, non poniamo limiti a Dinho.