“Se agli inizi qualcuno mi avesse detto che avrei vinto la classifica dei marcatori in serie A, B e C gli avrei dato del matto”. Dalla scorsa estate è il Direttore Sportivo del Tuttocuoio.
Classe 67’, riminese, Igor Protti esordisce in C1 con la squadra della sua città a soli 16 anni. Tre stagioni a Livorno, una alla Virescit Bergamo, poi ecco che arriva la chiamata del Messina in serie B; con i giallorossi vive tre stagioni da protagonista ma, nel 1991-1992, i suoi gol non riescono ad evitare la retrocessione. Protti viene acquistato dal Bari e, alla seconda stagione, conquista con i biancorossi la promozione in serie A; conclude il primo anno nella massima serie con 7 centri all’attivo, l’anno successivo i gol sono 24 e si aggiudica il titolo di capocannoniere con Beppe Signori della Lazio.
Il Bari, però, scende in serie B e Protti diventa il primo giocatore a vincere la classifica marcatori appartenendo ad una squadra retrocessa. Il club pugliese è in difficoltà economiche, Protti passa alla Lazio ma nella capitale il suo rendimento è al di sotto delle aspettative (7 reti in 35 presenze); nell’estate del 97’ passa al Napoli in cerca di rilancio, ma i partenopei incappano in una stagione negativa culminata con la retrocessione. Protti torna alla Lazio, ma i biancocelesti non credono in lui e lo mandano in prestito alla Reggiana in serie B.
Nell’estate del 1999 Igor, a quasi 32 anni, accetta la proposta del Livorno e, 11 anni dopo, ritorna in Toscana per disputare il campionato di C1. Il primo anno sono 11 le reti con la maglia amaranto, la stagione successiva vince il titolo di capocannoniere e il Livorno sfiora la promozione (sconfitta nella finale playoff contro il Como). Nel 2000/2001 Protti concede il bis, vince nuovamente la classifica dei marcatori (27 centri al pari di Christian Riganò, record per la categoria) e trascina gli amaranto in serie B dopo 31 anni. Al termine della stagione sono 23 le reti realizzate con la maglia amaranto nella serie cadetta, Igor vince ancora la classifica dei marcatori e conquista un altro record: è l’unico calciatore (assieme a Dario Hubner) ad aver vinto il titolo di capocannoniere in tutte le categorie professionistiche, serie A, serie B e serie C1.
La stagione successiva Protti realizza 24 reti, il suo compagno di reparto Cristiano Lucarelli 29 (53 gol in due) e il Livorno vola in serie A. Nella massima serie Igor mette a segno 6 reti e, a quasi 38 anni, saluta il “Picchi” nell’ultima di campionato contro la Juventus il 22 maggio 2005. Ovviamente Igor dice addio alla sua maniera, gonfiando la rete: non poteva che chiudersi nel segno del gol la carriera di un bomber, un percorso sportivo che per molti versi sembra una favola. Dopo alcune esperienze da osservatore, dalla scorsa estate Protti è il Direttore Sportivo del Tuttocuoio, squadra che milita nel girone B della Lega Pro.
Allora Igor, da bomber a d.s.: che ambiente hai trovato a Ponte a Egola? Te la senti di tracciare un bilancio della stagione neroverde e di questa tua esperienza dietro la scrivania?
“Ponte a Egola è una piccola frazione e ho trovato un bell’ambiente. La proprietà è molto vicina agli addetti ai lavori, ci sono entusiasmo e passione; in Lega Pro il Tuttocuoio si confronta settimanalmente con città più grandi, squadre storicamente più blasonate e questa è una bella sfida, cerchiamo di toglierci delle soddisfazioni. Non sono in grado di poter tracciare un bilancio perché ancora non abbiamo raggiunto quello che è il nostro obiettivo, la salvezza. Dobbiamo mantenere la categoria, un grande traguardo per una realtà come Ponte a Egola. Posso dirti che ci sono molte differenze tra fare il calciatore e il direttore sportivo, la più grande è che da direttore sportivo puoi lavorare con i ragazzi durante la settimana anche sul piano mentale e psicologico, ma il 90% di ciò che succede passa per i loro piedi e per la loro testa; quando ero io a scendere in campo, invece, sapevo che dipendeva da me ciò che succedeva sul rettangolo di gioco”.
E’ più difficile fare gol o fare il d.s.?
“A me veniva molto più naturale giocare e fare gol (ride), però sono alla prima esperienza, quindi è normale che ci voglia del tempo per capire un po’ di cose e migliorare. E’ vero che ho giocato a pallone per 20 anni, ma sono al primo anno da Direttore Sportivo”.
Al Tuttocuoio si è ricostituito il tandem Protti-Lucarelli, l’intesa è uguale a quella che avevate in campo?
“Ci troviamo bene, il rapporto è ottimo. Abbiamo anche dei momenti di confronto con idee diverse, ma sempre nel rispetto reciproco e con intento positivo. Devo dire che in campo era tutto più semplice, ci scambiavamo il pallone e il nostro obiettivo era fare gol; ora dobbiamo gestire i giocatori, lo staff…molte più teste rispetto ai nostri quattro piedi (ride)”.
Qual è la squadra che più ti ha impressionato nel girone B della Lega Pro? Domenica il Pisa ha battuto la capolista Spal e si è portato a -5: campionato riaperto oppure la Spal ha già un piede in serie B?
“La Spal ha cinque punti di vantaggio a cinque gare dal termine e rimane la favorita, ma il campionato è riaperto. Direi che la Spal fino ad oggi ha dimostrato di essere una grande squadra, dal rendimento elevato e continuo; il Pisa ha il merito di aver trovato la vittoria anche in alcune occasioni in cui non aveva offerto prestazioni brillanti. Nel girone B c’è anche l’Ancona, squadra molto forte che gioca un bel calcio; cito anche la Maceratese, neopromossa e bella sorpresa. Poi faccio i complimenti ai giocatori della Carrarese, che stanno disputando un gran campionato nonostante le gravi difficoltà finanziarie e societarie; e, da riminese, faccio un plauso anche ai calciatori del Rimini, che pure stanno affrontando problematiche economiche con dignità e lottano per non retrocedere, ed anche ai tifosi biancorossi, che hanno effettuato una raccolta di fondi per permettere alla squadra di sostenere le trasferte”.
Con la maglia del Livorno hai vissuto la cavalcata dalla C1 alla serie A e in amaranto hai concluso la carriera da calciatore: come descriveresti il tuo legame con la città?
“Una meravigliosa storia d’amore, una grande passione sbocciata sin da subito. Ero giovanissimo, quella a Livorno è stata la mia prima esperienza da calciatore lontano da casa e mi sono subito innamorato della città, dell’ambiente, della gente. Ho avuto la fortuna di tornare a Livorno nel 1999, 11 anni dopo la prima volta, concludendo la storia d’amore nel miglior modo possibile: erano più di 50 anni che il Livorno non giocava nella massima serie, in sei anni siamo passati dalla C1 alla A”.
Il Livorno sta vivendo una stagione travagliata e non è in una zona di classifica felice: riuscirà a salvarsi?
“In questo momento il pessimismo è il sentimento più diffuso, la squadra non riesce ad invertire la tendenza negativa anche se in alcune partite non ha conquistato punti pur avendo disputato buone gare. Conosco bene il calcio e sono dell’avviso che bisogna lottare finché c’è speranza, perché a volte possono scattare dei meccanismi psicologici in grado di cambiare la situazione ed è quello che può succedere anche al Livorno: non lo dico solo perché ci tengo, la possibilità di salvezza c’è ancora e l’obiettivo può essere raggiunto”.
Capitolo record. Con il Bari nel 95-96 ha vinto il titolo di capocannoniere: non era mai successo che un giocatore appartenente ad una squadra retrocessa vincesse la classifica dei marcatori…
“Non so quanti siano i campionati della serie A, ma se è successo una volta sola vuol dire che è una cosa straordinaria. Sul momento questo record non mi ha reso felice perché ho sofferto molto per la retrocessione della mia squadra, ma ora che è passato del tempo mi rendo conto che ho fatto qualcosa di incredibile. Il merito non è solo mio, devo ringraziare i miei compagni; la squadra aveva un’ottima capacità offensiva, sia a centrocampo che in attacco (il mio compagno di reparto era Kennet Andersson). Il centrocampo era molto bravo nel supportare le punte, ma inevitabilmente concedeva spazi agli avversari e pagava un po’ nella fase difensiva, ecco perché subivamo molte reti. Diciamo che era un vantaggio per noi attaccanti, un po’ meno per i difensori”.
Un altro record: sei l’unico giocatore (assieme a Dario Hubner) ad aver vinto la classifica dei marcatori in serie A, B e C.
“Sì, perché i giocatori forti forti giocano solo in serie A, quindi non hanno la possibilità di vincere la classifica marcatori anche in B e C (ride). Questo record mi riempie di orgoglio. Oltretutto quando ho iniziato a giocare a calcio non ero neanche attaccante, giocavo a centrocampo, poi il mister mi ha impiegato come trequartista e, infine, punta. Sentivo la pressione dei tifosi, la gente parlava di “attaccanti di categoria”, quello da serie D, quello da serie A… io invece ho sempre pensato che le dimensioni della porta sono identiche in ogni serie. E’ vero, salendo di categoria aumenta la bravura degli avversari che affronti, ma anche le capacità dei tuoi compagni di squadra. La mia era una sfida, riuscire a fare gol in tutte le categorie. Se agli inizi della carriera qualcuno mi avesse detto che avrei vinto la classifica dei marcatori in serie C (due volte), in serie B e in serie A probabilmente gli avrei detto che era matto (ride)”.
Il gol più bello che hai segnato.
“Il più bello dal punto di vista estetico l’ho segnato in rovesciata in un Livorno-Modena: acrobazia al limite dell’area, l’ho presa benissimo e la sfera si è insaccata a mezza altezza. La rete a cui sono più legato, però, l’ho segnato sempre in amaranto al Treviso e ci ha consentito di conquistare una storica promozione in B. Ne dico altri perché scegliere è difficile (ride). Sono molto legato anche ad un gol realizzato con la maglia del Messina in un derby contro la Reggina; poi anche una rete quando ero al Bari contro la Cremonese, magari non bellissima dal punto di vista estetico, ma credo che rispecchi molto il mio carattere e il mio modo di giocare, la determinazione e la voglia di non arrendersi anche quando le cose non vanno bene. E poi il gol segnato ai tempi della Lazio nel derby contro la Roma, rete dell’1-1 al 92’. Mi fa piacere ricordare anche il gol che segnai con la maglia del Napoli a Torino contro la Juventus nei minuti finali del match: non fu una stagione particolarmente positiva, ma in quell’occasione il mio gol ci consentì di portare a casa un pareggio contro una grandissima squadra”.
Il momento più bello della carriera da calciatore.
“La promozione in serie B con il Livorno. Quando sono tornato nel 1999 mi ero posto come obiettivo quello di aiutare gli amaranto a risalire in serie B. La promozione non è stata solo una soddisfazione sportiva, per me ha avuto un significato più ampio, una sorta di missione portata a termine”.
Hai rimpianti?
“Dal punto di vista sportivo no, devo solo ringraziare tutto ciò che mi è stato donato e non avrei mai pensato di poter raggiungere così tante soddisfazioni nel corso della mia carriera. Il grande rammarico che ho non riguarda i miei risultati sportivi. Quando sono arrivato a giocare in serie A (1994) ho perso mio padre, che mi aveva sempre seguito sin dagli inizi. Purtroppo non ho potuto dargli la gioia di vedermi calcare i campi della serie A”.
Interessi oltre al calcio.
“Negli ultimi anni assieme ad altri due soci ho creato delle strutture ricettive. Dopo aver smesso di giocare per alcuni anni sono rimasto fuori dal mondo del calcio e mi sono dedicato a queste attività. Poi mi piace molto il teatro, la musica e anche il golf, anche se non gioco quasi mai… ho troppi impegni, ci vorrebbe più tempo a disposizione (ride)”.
I valori che per te sono più importanti.
“La coerenza e il rispetto, sono due valori importanti nella vita, nelle relazioni, nello sport”.
Cosa diresti ad un ragazzo che sogna di fare il calciatore?
“Diventare calciatore professionista è molto difficile, in proporzione sono davvero pochi quelli che ci riescono. Direi di coltivare il proprio sogno e fare di tutto affinché possa realizzarsi, ma allo stesso tempo essere consapevoli che nella vita non esiste solo il calcio, ci sono tante cose meravigliose”.
Alessandro Marone