Infanzia, giovinezza ed esplosione del calciatore (e dell’uomo) che ha fatto sognare il Cagliari! Uno scudetto dura tutta una vita…
Questa è la storia di un destino… Un destino che poteva inizialmente apparire scontato, nella sua tristezza e malinconia. Laveno, giusto due passi da Leggiuno, provincia di Varese: il destino di un ragazzo povero di famiglia che gioca a calcio nella squadretta dell’oratorio non sembrava avere orizzonti molto vasti. La squadretta di Laveno, a quel tempo, giocava in prima divisione e uno dei dirigenti era Carlo Zanardi. Un giorno del 1960 alcuni operai si presentarono allo Zanardi per dirgli che doveva andare a vedere un ragazzino smilzo sui quindici anni che faceva faville nell’oratorio di San Primo a Leggiuno.
E venne così a comporsi tutto d’un fiato il primo tassello del destino: osservazione, invito a provare, prova e tesseramento del giovanotto. Si chiamava Luigi, el Luis per gli amici, Luigi Riva. Già segnato da sventure più grandi di lui, Gigi era reduce da anni molto difficili; il padre, che per tirare avanti la famiglia era sarto e barbiere allo stesso tempo, era morto quando lui aveva 9 anni. La mamma si era messa a lavorare in filanda e sistemò il ragazzo in umili (ne cambiò tre in pochi mesi) collegi dove però Gigi si dimostrò spesso irrequieto e intollerante alla disciplina.
Trovò lavoro come apprendista meccanico e, contemporaneamente, si sfogava giocando a calcio nel campetto dell’oratorio. Nella squadra del Laveno, e sempre sotto lo sguardo ammirato di Zanardi, guadagnò i primi soldi e ne andava fiero. Gigi era un centravanti nato e già possedeva un tiro forte di sinistro,impressionante per la sua età! Per due anni tenne a galla la sua squadra a suon di reti, e dimostrava quella grinta e quella potenza che divennero presto gli incubi peggiori per i difensori avversari.
La sorella cercò subito di aiutare la sua carriera, arrivando persino a scrivere a Giuseppe Meazza, che all’epoca curava il vivaio dell’Inter. E pare che la squadra di Milano si fosse convinta di concedergli la possibilità di un provino(c’è negli archivi storici una lettera d’invito in data 8/10/1959), ma tale situazione sfumò di colpo e per motivi tutt’ora ignoti. Chissà, forse il destino… Gigi era su tutte le furie, ma si convinse tuttavia ad approdare al Legnano: il presidente Caccia staccò dal suo libretto un assegno di centomila lire, tutte per lui.
La madre, intanto, si era ammalata gravemente e i suoi ultimi giorni in ospedale furono sempre più difficili. Gli morì che aveva 18 anni e anche l’ambizione di far carriera nel calcio pareva non bastasse a riempirgli il vuoto nel cuore. Ma a Legnano fece la giusta e sana gavetta, migliorando tecnicamente e tatticamente al punto da divenire completo e con stoffa da vendere. Gol e prime apparizioni nella Nazionale C, e farsi strada divenne una piacevole realtà. Restava un ragazzo semplice e serio, magari scontroso ma si accontentava di giocare a calcio. Arrivava al campo del Legnano con l’involto della colazione appeso al manubrio di una bicicletta: pane e mortadella o pane e formaggio. Poi si allenava con applicazione e senso del dovere; tocchi, palleggi e soprattutto quei tiri di sinistro sempre più potenti!
La fortuna di avere Gigi Riva toccò al Cagliari, fresco della promozione in B con Arturo Silvestri. Il bello fu che lui quasi non ci voleva andare: Cagliari? Un’isola, con in mezzo il mare, una lontananza impossibile… Il fascino soltanto sfiorato dell’Inter(squadra per cui faceva il tifo da bambino) lo convinceva che la pista-sarda era un ridimensionamento; il Cagliari era una squadra appena uscita dall’ombra e decisa a non rientrarvi. E infatti i primi mesi(eravamo nel 1963)nell’isola per Gigi furono molto difficili. La vita non riservava tanti svaghi; giornate uguali, allenamenti, il pasto al solito ristorante, il flipper, la Tv con qualche film e poi il mesto ritiro nell’appartamento riservato agli scapoli. Tuttavia stava nascendo pian piano un binomio sorprendente fra quel ragazzo e quella città; come se dovesse emergere in Gigi Riva quello stesso anelito di rivalsa che regna da sempre nell’umile e laborioso popolo sardo. Nel Cagliari il ragazzo poteva immergersi e identificarsi creando un tutt’uno, la squadra e l’uomo.
In lui, poi, cresceva e prendeva corpo l’ossessione del gol. Segnando a ripetizione, cominciò a imporsi per la sua struttura atletica, la sua saldezza morale, i suoi perentori colpi di testa e soprattutto per quelle sue formidabili conclusioni di forza. E la squadra prendeva quota con lui; nel primo anno di B il Cagliari ottenne subito la promozione, mentre la dirigenza lavorava con impegno creando un organico qualitativamente migliore con calciatori di fama nazionale. Il CT della nazionale maggiore Edmondo Fabbri ebbe il grande merito di convocarlo nel mondiale inglese del 1966, ma ebbe poi il grande demerito di non credere in lui fino in fondo. Riva restò ai margini dell’Italia, e dalla tribuna di Middlesbrough vide la clamorosa e leggendaria sconfitta con la Corea del dentista Pak Doo Ik.
In Italia la conseguente eliminazione fu accolta con vergogna e le polemiche divamparono in tutto l’ambiente azzurro. Gigi, non avendo mai giocato nella manifestazione, era ovviamente il meno colpevole ma il contesto negativo con la maglia dell’Italia lo coinvolse suo malgrado. Nel suo destino azzurro, infatti, ci doveva essere un dramma assai penoso. Il 27 marzo 1967 a Roma era in programma Italia-Portogallo. Helenio Herrera(si, proprio lui!) aveva inserito Gigi nei suoi schemi offensivi e contava molto sulla sua ormai consacrata vena realizzativa. Nel secondo tempo della partita, intorno al quarto d’ora, Riva si gettò in profondità per raccogliere un assist di Bulgarelli. L’impatto col portiere portoghese in uscita Americo fu tremendo: Gigi ebbe la peggio e si ruppe una gamba. La sua gamba sinistra… Era un infortunio gravissimo, che poteva costargli la carriera. Il suo immenso orgoglio e coraggio furono decisivi per il rientro all’attività agonistica. Dopo lo spavento dei primi giorni, Gigi voleva tornare più in forma di prima. Voleva guarire e guarì. Il rischio era che lo prendesse, dopo, la paura. Ma non ebbe mai paura…
Intanto a Cagliari, l’estate successiva, si sfiorò la sommossa popolare. Sui giornali sportivi la notizia dell’anno era quella dell’imminente accordo fra Cagliari e Juve per la cessione di Riva a Torino(in precedenza anche il Napoli si era fatto avanti). La determinazione di Agnelli, dopo i primi tentativi a vuoto, sembrò spuntarla l’anno successivo quando l’offerta raggiunse la stratosferica cifra di un miliardo. E infatti Riva, che tutti ormai già chiamavano Rombo di Tuono, era diventato Mister Miliardo. Ma Gigi non poteva tradire quel popolo che l’aveva adottato e la trattativa sfumò proprio alla fine. Dopo d’allora non entrò mai più in un abbozzo di trattativa: era il campione incedibile. Era, lui stesso, il Cagliari.
Il suo sogno era quello di portare a suon di gol lo scudetto in terra sarda, e nella stagione 1968/69(20 gol e titolo di capocannoniere)l’impresa sfumò per un soffio. E proprio si impresa si trattava, visto che pochissime volte il titolo era uscito dall’influenza delle squadre metropolitane del nord. Gigi Riva era l’uomo giusto al momento giusto e la stagione successiva, il 1969/70, lanciò la sua squadra con impetuosa determinazione. Il tanto agognato scudetto arrivò, clamoroso quanto meritato. Ed era lo scudetto di Gigi, per la terza volta capocannoniere.
Anche in nazionale Riva menava le danze e le difese avversarie, al punto da divenire punto di riferimento essenziale delle manovre di mister Valcareggi. Con lui in campo l’Italia non conosceva sconfitte e, puntuale, arrivò un trionfo da passare alla storia: il titolo europeo del 1968 a Roma. Una manifestazione che fu segnata da emozionanti vittorie e tutte col brivido, come la semifinale del 5 giugno a Napoli con l’Urss; dopo i supplementari si era ancora sullo 0-0 e gli azzurri si imposero soltanto grazie al sorteggio,visto che non esistevano i rigori. Una gara epica e combattutissima, così come la finale con la Jugoslavia. Anche in questo caso(era l’8 giugno 1968) l’equilibrio fra le due compagini non si spezzò dopo novanta minuti e supplementari, che di conclusero 1-1(rete azzurra di Domenghini). Stavolta nessun sorteggio; per la finalissima era prevista la ripetizione della gara. L’uomo giusto per risolvere la contesa non poteva che essere Gigi Riva; il 10 giugno fu lui a scardinare il fortino jugoslavo realizzando al decimo minuto il gol dell’1-0. Il raddoppio di Anastasi chiuse i giochi per il 2-0 finale e i 35mila spettatori dello Stadio Olimpico di Roma poterono festeggiare il primo(e finora unico)titolo europeo dell’Italia. Gigi sfiorò, dopo il successo continentale, anche quello mondiale nel 1970 in Messico.
In una delle edizioni della Coppa Rimet più affascinanti di sempre, Riva si confermò elemento di valore realizzando 3 reti nel torneo(suo anche un gol nell’epica sfida Italia-Germania 4-3) ma dovette inchinarsi al Brasile di Pelé(4-1 per i verdeoro) e accontentarsi del secondo posto. Qualche anno dopo, e senza nessun altro successo significativo in carniere, il mitico Gigi Riva fu costretto ad abbandonare il calcio. All’epoca aveva soltanto 32 anni, ma le conseguenze del grave infortunio al ginocchio e altri acciacchi resero questa decisione inevitabile. Restano però ancora oggi ben impresse nella mente di tutti le sue indiscusse qualità tecniche di uomo gol, dotato di potenza e carisma da vendere. E anche i numeri sono dalla sua parte: 3 volte capocannoniere in serie A(1967-1969-1970), 155 gol nella massima serie(in 289 incontri) e 35 gol(record ancora oggi imbattuto)in 42 presenze in nazionale. Forse resta il rammarico di aver vinto poco, ma la sua umanità e la sua fedeltà al Cagliari non hanno prezzo né valore. Lasciato il calcio, è rimasto a lungo nella dirigenza del Cagliari, rappresentandone fuori dal campo la grande dignità di squadra fiera e senza orpelli. La sua grande esperienza e la sua intelligenza di uomo e di calciatore sono state sfruttate anche dalla nazionale e dall’ambiente giornalistico, campo in cui Riva ha spesso affiancato i più autorevoli commentatori nostrani.
Lucio Iaccarino
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